Gender nonconforming: qual è il significato di quest’espressione?

  • Che cosa significa essere persone gender-non conforming?
  • Ci si può sentire nè uomo nè donna? Ci si può sentire sia uomini che donne?
  • Che cosa significa essere non-binary? Che cosa significa essere persone trans non medicalizzate?

Gender non-conforming

Chi sono tutte quelle persone che decidono di NON rientrare in un percorso di transizione standardizzato, di non assumere ormoni e di non sottoporsi a interventi chirurgici o di farlo soltanto parzialmente, seguendo il proprio faro? Possono essere anch’esse considerate persone transgender?

Come il termine transgender, il termine gender non-conforming è un termine ombrello che ricomprende molte sfumature e possibilità.

Una di queste, ad esempio, è l’essere persone transgender non medicalizzate (rimandiamo al sito Progetto GenderQueer per informazioni più precise sui percorsi di transizione che non prevedono la medicalizzazione).  È importante sottolineare che queste persone sono anch’esse persone transgender che, semplicemente, scelgono di non intraprendere un tipo di percorso che prevede terapie ormonali o interventi chirurgici.

 

Transgenerità e non-conformità di genere sono malattie o “disturbi”? O il problema è la società?

Dal 2018 la transessualità non è più considerata una malattia mentale

Nel 2018 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha deciso di rimuovere la transessualità dal capitolo dei disturbi mentali dell’International Classification of Diseases (ICD): non ci stancheremo mai di dire che il problema è una società malata di binarietà e di una visione manichea dei generi, non certo le persone transgenere o di genere non conforme.

La naturale non conformità di genere (o “variabilità di genere”) dell’essere umano è penalizzata dal la binarietà culturale che prevede due uniche opzioni: maschile o femminile (Rothblatt, 1995). Le persone transgender e gender non-conforming altro non sarebbero che gli individui più mortificati dal binarismo nell’espressione della propria identità, i meno aderenti allo stereotipo imposto dall’appartenenza ad un sesso biologico, coloro che operano la scelta più clamorosa e visibile: il cambio di genere. In questa rappresentazione, esse rappresenterebbero quindi soltanto la punta di un iceberg, essendo il binarismo di genere un forte limite per tutti gli individui, di qualsiasi orientamento sessuale e di genere (Nardacchione, 2000).

Nel nostro sistema culturale i due sessi vengono rappresentati sul piano del simbolico come “opposti”, ma sarebbero in realtà statisticamente in gran parte coincidenti. Non esisterebbero quindi caratteristiche comportamentali esclusive di uno dei due sessi. Ciascuna caratteristica comportamentale attribuita ad uno dei sessi in un sistema culturale sarebbe riscontrabile come caratteristica peculiare del sesso opposto in altro contesto geografico e/o temporale (Nardacchione, 2000).

Secondo Nardacchione, prima o poi si dovrà ammettere che l’aspirazione transgender sarebbe in realtà una risorsa a cui attingere presente in tutti gli individui a livello inconscio, e che in certi individui tale l’aspirazione si dilata a progetto di vita. Ciò accadrebbe quando l’appartenenza al proprio sesso biologico ed il conseguente “ingabbiamento in uno stereotipo” diviene fonte di frustrazione tale da spingere verso un percorso transgender.

Qual è il punto di vista del pensiero transgender?

Ovviamente non esiste un solo punto di vista all’interno dell’elaborazione culturale transgender, ma molteplici.

Secondo Rothblatt e Nardacchione, autorevoli esponenti dell’intellighenzia transgender, il maschile ed il femminile sarebbero stereotipi culturali ai quali nella storia sarebbe stato attribuito erroneamente il rango di identità biologiche.

Il considerare gli stereotipi sessuali come fenomeni congenito/ biologici, attribuisce loro apparentemente le caratteristiche di immutabilità e di impermeabilità ad ogni tentativo di manipolazione esterna. Questo finisce coll’essere “politicamente corretto”, vale a dire coerente e sinergico con l’organizzazione della società che prevede ruoli e status differenti per uomini e donne.

Estremamente pertinenti ed importanti in proposito gli studi di Margaret Mead, nota antropologa, che già negli anni ’30 ipotizzò che le differenze comportamentali fra maschi e femmine non dipendono dal sesso, bensì da costruzioni sociali. Mead giunse a queste conclusioni dopo aver osservato diverse tribù nella Nuova Guinea settentrionale, nelle quali gli stereotipi di genere erano ribaltati nella loro attribuzione: le femmine Ciambuli, ad esempio, erano dedite alla guerra e ricoprivano ruoli economicamente e socialmente dominanti, affidando ai maschi la cura della prole (Mead, 1935)

La fine della binarietà dei generi: la libertà di genere

Nardacchione e Rothblatt ipotizzano che i tempi siano ormai maturi per una sola opzione: la fine della binarietà di genere, la libertà di ciascuno di essere o non essere o di come essere “uomo” o “donna”. Ma per fare questo sarebbe a loro avviso indispensabile riconoscersi tutti, omosessuali, transgender ed eterosessuali, come parte di una stessa realtà omogenea. L’unica strada che può portare al superamento della attuale società, che è omofoba non meno che misogina, sarebbe convincerci tutti che, fatte salve le norme che tutelano da maternità e la paternità, il sesso, l’identità e l’orientamento sessuale degli individui debbano diventare fatto assolutamente privato e quindi giuridicamente, socialmente e culturalmente irrilevanti.

Bibliografia

  • M.Mead, Sesso e temperamento, Il Saggiatore Tascabili, 2009.
  • ROTHBLATT M.., L’apartheid del sesso, Il Saggiatore, Milano, 1997.
  • NARDACCHIONE D., Transessualismo e Transgender. Superando gli stereotipi, Il Dito e la Luna, Milano, 2000.

Formazione su transessualismo e variabilità di genere presso State Street Bank

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Transessualismo

L’incontro con la dott.ssa Monica Romano sarà un momento prezioso per conoscere aspetti legati alla
identità di genere e alla transessualità nel mondo del lavoro.
La dott.ssa Monica Romano consegue la Laurea magistrale in Scienze Politiche, indirizzo sulle relazioni
industriali e la gestione delle risorse umane, con una tesi dedicata alla transessualità nella società e nel
lavoro. L’anno successivo l’editore Silvio Mursia trasformerà la tesi in un saggio: “Diurna. La transessualità
come oggetto di discriminazione” (2008, Costa & Nolan).
Pubblica altri due libri: il romanzo di formazione “Trans. Storie di ragazze XY” (2015) – nel quale ha
raccontato la sua esperienza autobiografica in un’ottica sociale, culturale e divulgativa – e il memoir
militante “Gender (R)Evolution” (2017), entrambi pubblicati per i tipi di Ugo Mursia editore. Negli anni dal
2016 al 2019 ha organizzato numerose presentazioni in tutta Italia.

Mondo transgender, professioni e conflitto di interessi

I professionisti – anche se transgender – che, legittimamente, svolgono professioni a servizio delle persone transgender (avvocati, chirughi, medici endocrinologi, operatori sociali, psicologi e psichiatri) generando un (comunque legittimo, perché il lavoro si paga) profitto per sé, devono avere l’onestà intellettuale e deontologica di riconoscere un potenziale conflitto di interessi quando decidano di fare attivismo o proporsi come referenti in sede di discussione politica sulle tematiche che riguardano le persone transgender.
La nostra comunità deve crescere ed evolversi: non mi interessa creare classifiche di buoni e cattivi, etici o meno etici, o sterili contrapposizioni.
Essendoci però più interessi (ribadisco, tutti legittimi) in gioco, credo sia arrivato il momento di definire i ruoli nel modo più trasparente possibile, a tutto vantaggio della nostra comunità e nel reciproco rispetto di sfere e competenze.

Gli interessi (legittimi) dei professionisti non sono in discussione. È in discussione il fatto che tali interessi possano compromettere la loro autonomia di pensiero e di posizionamento in sede politica e movimentista, nel momento in cui i professionisti decidono di fare attivismo o politica. La mia dichiarazione è riferita alle figure che in Italia si collocano sul crinale professione/attivismo/politica, che sono moltissime. Dal mio punto di vista, il professionista intellettualmente onesto ammette senza problemi che potrebbe esserci un conflitto di interessi e si confronta nel merito di una questione tanto delicata quanto complessa.

Essere transessuali non è una malattia da curare

La lettera di Laura Caruso e mia al Manifesto:
transessualità, transgenerità e variabilità di genere non sono più considerate malattie mentali ed è ora di dirlo e ribadirlo a voce alta.

 

Spettabile Redazione,

si susseguono da qualche tempo articoli sulle persone transgender che mancano completamente della visione e della parola che alla popolazione transgender appartengono.

Il dibattito è condotto da specialisti della psiche e da pensatori che non hanno alcuna conoscenza diretta delle questioni di cui parlano e scrivono, ai quali occorrerà spiegare che transessualità, transgenerità e non conformità/incongruenza di genere non sono più patologie mentali per l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Infatti, durante la 72° Assemblea Mondiale della Sanità (WHA), in corso dal 20-28 maggio di quest’anno, l’OMS ha ufficialmente adottato l’undicesima revisione della classificazionestatistica internazionale delle malattie e dei problemi sanitari connessi (ICD-11), che entrerà in vigore il 1° gennaio 2022.

Ѐ accaduto, insomma, ciò che circa trent’anni fa era avvenuto per l’omosessualità, ma pare che professionisti e intellettuali vogliano continuare ad ignorare l’evoluzione che porterebbe un miglioramento alla vita delle persone transgender.

L’ultimo articolo pubblicato da Il Manifesto in data 13 luglio scorso, a firma di Sarantis Thanopulos, “La «disforia» dell’identità sessuale”, prosegue in un approccio patologizzante e la chiusura del pezzo appare al limite dell’imbarazzo: “Si può rispettare,accogliere i transessuali, senza compatirli, né assecondare la loro visuale. Della loro condizione si può «prendere cura», se sono interessati, a partire dal reciproco lutto che è necessario fare. La dissociazione tra il dato corporeo e la rappresentazione psichica delproprio sesso interferisce con lo sviluppo del corpo erotico e limita seriamente la profondità del coinvolgimento e della soddisfazione sessuale.”

Non c’è nessuna cura da prendersi, poiché noi non siamo malati, e non c’è nessun lutto, perché “l’essere transgender” non è una morte, neppure simbolica.

Oggi che finalmente siamo giunti a eliminare questa condizione da implicazioni “patologiche”, ci aspetteremmo che se ne prendesse atto.

Il riferimento alla nostra soddisfazione sessuale, inoltre, ha un sapore paternalista e voyeuristico davvero sconfortante.

Crediamo sia mancata attenzione nella pubblicazione di questo articolo, che risulta gravemente offensivo nei confronti delle persone transgender, dietro l’apparentemente elegante maschera di un dibattito “alto” che in realtà nasconde una visione semplicemente oscurantista.

Chiediamo la pubblicazione di questa nostra replica perché crediamo che sia corretto consentirci di prendere parola se si parla di noi, tanto più quanto se ne parla in maniera inadeguata e irrispettosa.

Distinti saluti.

Dott.ssa Monica Romano, attivista, saggista e scrittrice

Dott.ssa Laura Caruso, facilitatrice gruppi di auto mutuo aiuto sull’identità di genere

(donne transgender)