Donne, genere e lavoro. Istruzioni per l’uso

Giovedì 2 marzo parteciperò alla tavola rotonda “Donne, genere e lavoro. Istruzioni per l’uso” presso il Municipio 3 di Milano.
Sarà l’occasione per parlare delle discriminazioni legate al genere e di quelle buone pratiche che un’amministrazione comunale può adottare per contribuire a sanare l’attuale situazione di disparità fra i generi nel mondo del lavoro, oltre che di coming out, inclusione e diversity management in relazione alle persone LGBT e a quelle difficoltà che si legano soprattutto alla nostra visibilità sul posto di lavoro.
Ringrazio per l’invito Valeria Borghese e Cristina Spoldi, presidente e vicepresidente della commissione attività produttive.
Link all’evento: https://www.facebook.com/events/1223620291091708/

Facebook apre alla “gender variance”

Articolo pubblicato sulla rivista di cultura LGBT “Il Simposio”.

Facebook ha recentemente introdotto la possibilità per i suoi iscritti di andare oltre la dicotomia maschio/femmina, consentendo la scelta fra più di cinquanta opzioni di genere. Questa variazione ha interessato, all’inizio del 2014, l’utenza statunitense, raggiungendo 159 milioni di persone, per poi arrivare anche a quella italiana nel giro di qualche mese.

Alla sezione “sesso” delle informazioni che possono essere rese pubbliche, l’utente Facebook trova ora, oltre alle due opzioni “maschio” e “femmina” relative al mero dato biologico, una terza possibilità, l’opzione “personalizzata”, che permette di accedere ad una pluralità di definizioni. Tali definizioni trovano la loro origine nell’ambito dei gender studies, che hanno definito “gender variance”(variabilità di genere) l’attitudine del genere sessuale a manifestarsi in una pluralità di sfumature.

Quasi la metà delle opzioni disponibili è dedicata ai percorsi di adeguamento di genere.

Eccezion fatta per “MTF” (Male to Female, da maschio a femmina) ed “FTM” (Female to Male, da femmina a maschio), tutte comprendono il prefisso “trans”, riferendosi quindi ad un attraversamento, ad un passaggio fra i generi. Troviamo così, accanto alle definizioni più generiche e conosciute come “trans”, “transessuale”, “transgender” e “persona trans*”, voci più specifiche, che rivelano la direzione del percorso di adeguamento intrapreso, come “donna transgender” e “uomo transgender”, o il sesso biologico della persona in transizione, come “trans maschio” e “trans femmina” (di utilizzo piuttosto improbabile, se pensiamo al disagio che il dato biologico, e quindi anche una definizione che lo richiama, può comportare per una persona transgender).

Abbiamo poi un nutrito gruppo di definizioni accomunate dal prefisso “cis”, che assume un significato opposto a quello di “trans”. “Cisgender” è infatti la persona che non vive una discrepanza fra sesso biologico, ruolo di genere e identità di genere. Troviamo anche ulteriori specificazioni di “cisgender”, come “cis maschio”, “cis femmina”, “cis uomo”, “cis donna”, “femmina cisgender”, “maschio cisgender”, “uomo cisgender” e “donna cisgender”. Tali definizioni, affiancandosi a “maschio” e “femmina”, rendono plurali e sfaccettate due connotazioni identitarie da sempre considerate assolute, di fatto relativizzando le identità tradizionali e la loro portata concettuale.

Non manca poi un gruppo di opzioni che potremmo definire di avanguardia antibinaria, nate dalla volontà di decostruzione del dogma binario dei generi. “Agender”, “androgino”, “bigender”, “genere fluido”, “genere non conforme”, “gender questioning” (tradotto in italiano con “in esplorazione”), “gender variant”, “genderqueer”, “pangender”, “neutro”, “nessuno”, “non binario”.

Due definizioni, infine, trovano la loro origine nella storia e nell’antropologia: “two spirit”, derivante da quelle culture native indiane che prevedevano l’esistenza di generi alternativi a quelli tradizionali, ed il partenopeo “femmininiello”.

Le maggiori associazioni LGBT italiane hanno accolto positivamente la decisione del management di Facebook, ma non sono mancate le voci fuori dal coro nel movimento. In particolare, è stato messo l’accento sul sovrabbondante e pletorico numero di definizioni disponibili, che avrebbero l’effetto di disorientare la maggioranza degli utenti che non ha una cultura sul tema dell’identità di genere. Critico anche Giovanni Dall’Orto, attivista storico del movimento gay italiano, che ha definito la decisione di Facebook un ipocrita “diversivo” che distoglierebbe il dibattito pubblico dai problemi reali, nello specifico una legge sull’omofobia o sul matrimonio fra persone dello stesso sesso (mi sono ripromessa di rivolgere due domande al sig. Dall’Orto, alla prima occasione: 1) Perchè il management di una corporation statunitense dovrebbe in qualche modo supplire a quelle che sono carenze della legislazione italiana, di competenza del Parlamento italiano? 2) In che modo una variazione che introduce una pluralità di identità di genere toglierebbe qualcosa a gay e lesbiche? Ricordo che le 50 opzioni sono tutte sfumature identitarie, non orientamenti sessuali, e il loro impatto riguarda semmai le persone transgender o di genere non conforme).

Una buona risposta alle critiche sollevate può essere ricercata nelle parole di Brielle Harrison, ingegnere software di Facebook che ha lavorato al progetto e che ha intrapreso il percorso di adeguamento MTF:

«Per molte persone queste modifiche non significheranno nulla ma, per i pochi su cui avremo un impatto, questi cambiamenti significano tutto. Troppo spesso ai transgender come me viene offerta solo una scelta binaria, vale a dire scegliere fra essere uomo o donna. Qual è il tuo sesso? E spesso la situazione è disarmante perché nessuna delle opzioni offerte dice agli altri chi siamo veramente. Queste modifiche cambiano quell’aspetto, e per la prima volta potrò andare su Facebook e dire alle persone che so qual è il mio genere.»

Da non sottovalutare infine l’impatto che questa variazione avrà sulle persone cisgender. Il semplice fatto che gli iscritti al social network più seguito nel mondo, nel rendere pubblica l’informazione relativa al loro genere, visualizzeranno un lungo elenco di opzioni possibili, è un indubbio elemento di rilievo, soprattutto considerando la familiarità che i giovanissimi, nativi digitali, hanno con i social media.

Il pensiero transgender e il suo contributo ai “gender studies”

29 Giugno 2014 – Spazio A – Evento Milano Pride Week 2014

Intervento pubblico in occasione dell’evento Generati non creati. Come siamo finite in una situazione del genere?, organizzato e promosso dalle associazioni Milk Milano, Arcilesbica Zami Milano, Arcobaleni in marcia e con la collaborazione di Teodoro Scorcia.

 

10478182_666930570042729_7291924005242340510_n

Sono qui per parlarvi del contributo che le persone transgender hanno dato in termini di teorizzazione e prospettive ai gender studies. Qual è stata e qual è la riflessione delle persone trans su questi temi, che cosa hanno scritto e pubblicato in merito? Qual’è la letteratura di riferimento?

Nel farlo mi soffermerò sull’Italia, seguendo un’ordine cronologico che ci permetta anche di storicizzare queste elaborazioni, cercando di ricostruire la dinamica discorsiva interna alla nostra comunità degli ultimi quarant’anni, partendo dall’approvazione della legge 164/82, che allora legalizzò l’iter di transizione, e che ancora oggi norma i nostri percorsi.

Consideriamo anzitutto che negli ultimi anni abbiamo deciso di abbandonare gradualmente il termine “transessuale”. Questo termine fu infatti coniato da un discorso scientifico che tutt’oggi che ci ingabbia nella patologia. Infatti, se da un lato accogliamo come un successo il fatto che la quinta edizione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali più utilizzato da medici, psichiatri e psicologi in tutto il mondo, noto anche come DSM o “bibbia della psichiatria”, pubblicata in Italia quest’anno, sottolinei finalmente come la non conformità di genere non sia un disturbo mentale in sé, gettando importanti presupposti per la depsichiatrizzazione della nostra condizione, dall’altro è comunque un fatto che, fintanto che non riusciremo a far depennare la nostra condizione dalla Classificazione Internazionale delle Malattie come fu per l’omosessualità il 17 maggio del 1990 (il famoso ICD dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che sarà aggiornato nel 2016), non conquisteremo il diritto all’autodeterminazione.

Abbiamo abbandonato gradualmente il termine “transessuale” anche perchè semanticamente inappropriato, con quell’idea di mero passaggio da un sesso ad un altro che di fatto esclude ed annulla tutte le sfumature e le peculitarità dei nostri percorsi.

Ora utilizziamo la parola “transgender”, che ha un’origine politica, che nasce in ambito LGBT, che è cosa nostra, e che, nella sua accezione originaria, si basa sull’idea che la totalità dell’esistente non sia riconducibile ad una logica binaria e duale.

Ora, una precisazione sulla legge 164/82: sono grata a quelle signore che nel 1979, peraltro l’anno in cui sono nata, hanno protestato e si sono presentate a seno nudo in una piscina di Milano, arrivando a farsi arrestare perché lo Stato riconoscesse l’esistenza delle persone trans con una legge.

Ma dobbiamo riconoscere che questa è una legge squisitmanente transessuale e affatto transgender, nell’accezione cui facevo riferimento poc’anzi, ed è stata soprattutto la prassi applicativa di questa legge negli ultimi quarant’anni a darne prova conducendo all’inserimento coatto di ogni forma di differenza rispetto alla concezione binaria dei generi all’interno del binomio maschio-femmina e a danno del riconoscimento della figura della persona trans* come soggetto di diritti.

Quindi, qualsiasi elaborazione sul tema non può prescindere dall’inquadramento della nostra condizione nella patologia e da una legge molto binaria (maschio/femmina).

Richiamando il titolo di questo nostro evento così bello e importante, potremmo chiederci: come siamo finiti in una situazione del genere?

Nella nostra ricerca di risposte a questa domanda possiamo fare anzitutto riferimento alla letteratura storica- antropologica, che ha evidenziato come l’occidentalizzazione e la modernizzazione abbiano di fatto determinato il tramonto della variabilità di genere come opzione identitaria dell’essere umano culturalmente riconosciuta, delegittimando quelle culture anche millenarie che invece ne incoraggiavano l’esistenza. Il rigido binarismo dei generi promosso dalle religioni monoteistiche, dall’avvento del capitalismo e dall’affermazione del positivismo è divenuto il paradigma dominante, bollando come “devianti” le espressioni identitarie che non rientrano nella dicotomia maschile/femminile.

Ci può venire poi in aiuto una delle più grandi figure del Novecento filosofico: Michel Foucault, che definì “sguardo normalizzatore” quella visione della ragione scientifica moderna che ha portato alla concettualizzazione di alcuni gruppi come diversi, in contrapposizione alla rispettabilità di altri gruppi definiti soggetti neutri, messa in atto dalla cultura scientifica, estetica e morale dell’Ottocento e del primo Novecento. Questa concettualizzazione ha fatto sì che, a partire dal XIX secolo, nelle società giudaiche, cristiane e islamiche, la naturale “variabilità di genere” dell’essere umano sia stata inquadrata come patologia.

Altro importante strumento della scatola di attrezzi foucaultiana è la sua analisi della genesi di un “discorso di rimando” da parte di omosessuali (e transessuali) a questo inquadramento nella patologia, di come il poter “parlare di sè” abbia permesso alle persone omosessuali e trans di rispondere ad un discorso che li definiva perversi e devianti rispetto ad una norma.

Qual è stato quindi il discorso di rimando delle persone trans ad un discorso scientifico e ad un sistema culturale e valoriale che le ha bollate come devianti e patologiche?

Tornando all’Italia, nel corso degli anni ’90 vengono pubblicati tre importanti saggi di donne transgender che hanno inciso sul nostro pensiero e su tutta l’elaborazione successiva:

  • nel 1995 Castelvecchi pubblica“Dal cybersex al transgender: tecnologie, identità e politiche di liberazione ” di Helena Velena;

  • nel 1997 arriva “L’apartheid del sesso. Manifesto per le nuove libertà di genere” di Martine Rothblatt, pubblicato dal Saggiatore con una bella prefazione di Maria Nadotti;

  • nel 2000 la casa editrice “Il dito e la luna” pubblica “Transessualismo e transgender” di Diana Nardacchione, una delle esponenti più autorevoli dell’intellighentia transgender, che oggi abbiamo l’onore di avere qui.

Sono tre testi che nella comunità trans italiana, e non solo, girarono tantissimo all’epoca e contribuirono a formare molti militanti del movimento, furono veri e propri “must” per chi volesse intraprendere un percorso politico.

Tre saggi assolutamente eretici rispetto al dogma binario e di inquadramento nella patologia, di cui ora andrò a parlarvi, spendendo anche qualche parola sulle donne, tutte curiosamente transgender lesbiche, che li hanno scritti.

Helena Velena è una cantante, attivista nel movimento punk fin dagli anni ‘70 e scrittrice italiana.Ormai credo che pochi ricordino che Helena fu di fatto la prima ad importare in Italia le discussioni sul transgender con la sua pubblicazione “Dal cybersex al transgender”. Helena, nella sua elaborazione, parte da Internet, e più in generale dal cyberspazio, definendoli importanti strumenti che permettono sperimentare la propria identità di genere e la propria volontà di uscire fuori da una logica sessuale binaria, dando la possibilità di creare un laboratorio virtuale dove si sperimentano nuovi modi di essere e di interagire socialmente, per poi arrivare al transgender.

Secondo l’autrice, è importante ricordare che se la parola transgender spesso finisce per sovrapporsi con “transessuale”, non va comunque considerata ne come sinonimo “politicamente corretto”, ne come indicatore di persona transessuale “non riconvertita genitalmente”, ma piuttosto, e qui cito testualmente,

la presa di coscienza vissuta direttamente e quindi direttamente rivendicata dell’insostenibilita’ sociopolitica della fissita’ identitaria, sia su basi biologiche che culturali. Ne risulta pero’ conseguente che una buona parte della sistemizzazione del pensiero transgender va in direzione del confitto aperto con il “trattamento” da parte della classe medica e della psichiatria ma anche psicoterapia (ormai) ufficiale, delle persone transessuali. E nello specifico contro la logica del “percorso di adeguamento” agli stereotipi, ma anche alle forme espressive tipiche, per necessita’ di integrazione sociale, dettato dalla visione binaria del gender, proponendo piuttosto un adeguamento della societa’ alla comprensione dei meccanismi della libera espressione desiderante del se. Transgender e’ quindi la consapevolezza della rivoluzionarieta’ dell’autolegittimazione di qualunque risultante, sia di pattern che identitaria, interpretata in chiave di critica situazionista e opposta ali dettami della logica binaria.”.

Secondo Helena Velena l’identità di una persona è determinata da tre variabili: il sex, il gender, e la preferenza sessuale. L’autrice rifiuta la parola “orientamento”, negando l’accezione deterministica di questo termine; sceglie invece “preferenza” per mettere, l’accento sulla mutabilità degli orientamenti sessuali, che sarebbero quindi dinamici, non fissi e determinati. Dimostrando la non binarieta’ di questi tre piani, se ne ricava una infinita’ possibile di combinazioni inascrivibile alla fissita’ dei comportamenti di gender definiti come obbligatoriamente corrispondenti al sesso biologico, perche’ necessari alla struttura patriarcale e giudaico-cristiana.

Martine Rothblatt è una donna transgender statunitense, avvocato, oggi presidente del consiglio di amministrazione di una delle più importanti società nel campo delle biotecnologie, (“United Therapeutics Corporation”). Rothblatt è di recente salita agli onori delle cronache per essere una delle dirigenti donne più pagata d’America.

La tesi che Rothblatt sostiene nel suo “L’apartheid del sesso”, è quella dell’esistenza di un continuum di tipologie sessuali che vanno dal “molto maschile” al “molto femminile”, e che tra i due estremi vi sia una varietà potenzialmente infinita di generi che contempla un ampio arcobaleno di possibilità androgine. L’autrice arriva ad affermare che, se al mondo ci sono sette miliardi di persone, esistono anche sette miliardi di irripetibili identità sessuali.

Rothblatt intende dimostrarci che non esiste alcuna caratteristica socialmente significativa che definisca l’umanità in due gruppi assoluti, uomini e donne, e che, rispetto al ruolo che ciascuno di noi ricopre nella società, i genitali sono irrilevanti tanto quanto il colore della pelle. Di conseguenza, la divisione legale degli individui in maschi e femmine non è meno sbagliata della divisione in neri e bianchi.

Secondo Rothblatt, la tesi della continuità sessuale costituisce una seria minaccia per la struttura di potere governata dagli uomini: se non esistono tipologie sessuali nette e distinte, ne consegue che non possa più esservi apartheid sessuale, né un potere attribuito per nascita.

L’unità a livello sessuale avrà per l’umanità conseguenze più decisive di qualunque altra rivoluzione sociale. La divisione degli esseri umani in due sessi è infatti il più resistente e il più rigidamente conservato degli stereotipi sociali. In futuro, schedare gli individui alla nascite come ‘maschi’ o ‘femmine, sarà giudicato iniquo quanto l’ormai obsoleta pratica sudafricana di stampare ‘nero’ o ‘bianco’ sui documenti d’identità”.

Martine Rothblatt spiega come le differenze genitali, ormonali, cromosomiche e perfino la fertilita’ non siano caratteristiche sufficenti a giustificare una netta divisione binaria, e invoca una lotta di liberazione del gender parallela a quella contro l’apartheid razziale.
Secondo Rothblatt, la fine dell’apartheid sessuale porterà alla libertà di genere.

Diana Nardacchione è una psicologa, nonche una delle più auteroli esponenti dell’intellighentia transgender in Italia.

Nel suo saggio “Transessualismo e transgender”, Nardacchione afferma che:

il maschile e il femminile sono stereotipi culturali ai quali nella storia sarebbe stato attribuito erroneamente il rango di identità biologiche. Il considerare gli stereotipi sessuali come fenomeni congenito/biologici, attribuisce loro apparentemente le caratteristiche di immutabilità e impermeabilità ad ogni tentativo di manipolazione esterna. Nel nostro immaginario culturale i due sessi vengono rappresentati sul piano del simbolico come “opposti”, ma sarebbero in gran parte statisticamente coincidenti. Non esisterebbero quindi caratteristiche comportamentali esclusive di uno dei due sessi”.

Esiste secondo me un filo rosso che collega le elaborazioni di Helena Velena, Martine Rothblatt e Diana Nardacchione, un denominatore comune che potremmo ascrivere ad un pensiero antibinario e volto alle decostruzione del dualismo di genere.

I tre testi di cui vi ho parlato hanno secondo me aperto una breccia nella quale successivamente si sono sviluppate le elaborazioni altre pensatrici, come Mirella Izzo con il suo “Oltre le gabbie dei generi. Manifesto Pangender” pubblicato dal Gruppo Abele nel 2012, che potremmo definire un importante testo post-transgender. In questo manifesto infatti si parla di identità di genere, ma in un’ottica pangender, universale, formulando un’invito a prendere coscienza del fatto che concetti come “uomo”, “donna”, “omosessuale”, “transgender” sono solo rigide classificazioni, gabbie che ci imprigionano costringendoci ad assomigliare a concetti che esistono solo a livello di cultura e pensiero.

Arriviamo infine al contributo delle nuove generazioni di attivisti transgender, nativi digitali che ci offrono nuove elaborazioni  che più che nella letteratura, troviamo ormai in blog e social networks. Portatori di nuove e rivoluzionare visioni dell’idea di autodeterminazione rispetto all’identità di genere, queste “nuove leve” sperimentano percorsi innovativi, spesso condividendo queste esperienze in tempo reale. Quella variabilità di genere che le “vecchie guardie” avevano solo postulato, restando il più delle volte su un piano squisitamente teorico, trova finalmente riscontro sul piano pratico, con la messa in discussione dei percorsi “canonici” MtF (Male to Female) ed FtM (Female to Male), criticati per l’impostazione binaria e medicalizzata, e la concreta messa in atto di percorsi di autodeterminazione rispetto al gender che esulino da terapie ormonali, interventi chirurgici e logiche di adeguamento al binarismo dei generi culturalmente prevalente.

Io voglio concludere e salutarvi con queste parole che Diana scrisse qualche anno fa nella prefazione ad una mia pubblicazione:

È una rivoluzione quella che incombe sull’umanità in relazione alla sessualità. L’illusione che esistano una ‘normalità’ e una ‘diversità’ è condivisa tanto dai normali, che per nulla vogliono rinunciare alle apparenti e rassicuranti certezze, quanto dai diversi, che sono preoccupati dal rischio di perdere anche i modesti vantaggi che derivano dalla condizione di tolleranza. I ‘normali’ cercano di misurare la diversità più in termini qualitativi che quantitativi, per sancirne la distanza come incolmabile. I ‘diversi’ cercano di giustificarsi e continuano a proclamarsi innocui. La difesa di questa ideologia era facile quando i ‘normali’ erano istruiti, potenti e benestanti e i ‘diversi’ erano illetterati, impotenti e poveri. Oppure tacevano. Ora anche i ‘diversi’ leggono, studiano, scrivono. Le loro idee circolano e quando esse incontrano l’ideologia corrente insinuano dubbi e minano certezze. Le idee dei diversi fanno paura e faranno sempre più paura finché non riusciranno a rassicurare anche i normali.

Generati, non creati. Come siamo finite in una situazione del genere?

Immagine

 

Il 29 giugno avrò il piacere e l’onore di partecipare come relatrice a questo importante evento che farà parte degli appuntamenti della “Pride Week” milanese. Vi aspetto numeros*!

Domenica 29 giugno 2014 (ore 15.30 PUNTUALI)
SpazioA Sesto S. Giovanni
via Maestri del Lavoro, MM Sesto Marelli
GENERATI, NON CREATI. Come siamo finite in una situazione del Genere?
Happening sperimentale e partecipativo sul genere.
Promuovono ArciLesbica, Arcobaleni in Marcia, Circolo Harvey Milk.

Il concetto di genere inteso come costruzione culturale rimanda al 1949, quando Simone de Beauvoir scrisse ‘Donne non si nasce, si diventa’, che inaugurava l’idea che la maschilita’ e la femminilita’ non sono dati naturali ma invece disciplinamenti sociali, peraltro mutevoli nelle epoche storiche.
Da allora anche il pensiero di lesbiche, gay e trans ha sviluppato le sue critiche e le sue invenzioni. I nostri desideri sono testimoni del fatto che non c’e’ alcun destino collegato ai genitali. Tutti siamo attraversati dalla norma di genere e protagonisti di sue torsioni, smentite, creazioni. La giornata del 29 e’ uno spazio aperto al confronto delle nostre esperienze, tutti siamo esperti e tutti siamo pubblico, e mai piu’ ci lasceremo inchiodare agli stereotipi sessisti.
– Caffe’ Degenerato: menu’ di frasi o concetti legati al genere da degustare.
– Intervista imprevedibile di Teodoro Scorcia a ospiti noti e non noti sul vissuto di genere.
– Chi ha detto qualcosa del genere? Con Lorenzo Bernini, Daniela Danna, Monica Romano.
segue aperitivo (5 euro)