Milano ha approvato il primo “Registro di Genere” in Italia per le persone transgender

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Sono felice e orgogliosa di poter annunciare una vittoria storica: il Consiglio Comunale ha approvato la mia mozione per l’istituzione di un Registro per il riconoscimento del genere di elezione per le persone transgender, gender non-conforming e non binarie.

Il Registro consentirà ai cittadini transgender milanesi di avere i documenti di riconoscimento di competenza del Comune (abbonamento ATM, tessere delle biblioteche, badge e documenti di riconoscimento aziendali per i dipendenti del Comune di Milano e delle aziende partecipate) con il nome da loro scelto e non più il nome anagrafico.

La mozione approvata prevede inoltre misure per rendere effettivo il diritto di voto delle persone transgender che – a causa del problema dei seggi elettorali suddivisi in base al sesso – spesso disertano le urne per evitare situazioni di imbarazzo. D’ora in poi, per ottenere i documenti con il nome scelto, per i cittadini transgender sarà quindi sufficiente fare una dichiarazione davanti a un ufficiale di stato civile.

In attesa di una nuova legge nazionale che riconosca il diritto all’identità di genere e all’autodeterminazione delle persone transgender – la legge attualmente in vigore è ormai di 40 anni fa e del tutto inadeguata – l’approvazione di questo registro è un traguardo molto importante. Oggi le persone transgender devono affrontare percorsi che possono durare anche anni, frustranti quanto costose perizie psichiatriche e mediche, passaggi da avvocati e tribunali che allungano i tempi e costano migliaia di euro – prima di vedere riconosciuto un diritto che dovrebbe essere dovuto e soltanto validato dalle istituzioni.

Tutto questo avviene in contrasto con gli orientamenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che – ormai quattro anni fa – ha stabilito che essere transgender non è una malattia psichiatrica.

Come il Registro delle Unioni Civili approvato a Milano nel 2012 anticipò il riconoscimento delle coppie omosessuali, oggi il Registro di Genere sarà avanguardia per il riconoscimento della cittadinanza delle persone transgender.

 

Le persone transgender nel mondo del lavoro

Come appare da molta letteraura il lavoro funziona da motore di integrazione sociale , esso cioè risulta essere uno dei principali elementi che determinano la linea di confine fra integrazione ed emarginazione sociale di un individuo, e ciò sembra essere ancora più vero per le persone transgender e gender non-conforming, che, oltre a dover reperire le risorse economiche per vivere e mantenere un’adeguata qualità di vita, devono far fronte alle spese spesso ingenti che l’adeguamento fisico al genere sentito comporta. Avere un lavoro sicuro, socialmente accettato, equamente renumerato e soddisfacente favoriscono l’integrazione sociale e la costruzione della propria identità (Ageform 2002).

Perché le persone trangender vengono discriminate?

Quello con il lavoro è stato e rimane un rapporto problematico e controverso , che condiziona scelte, atteggiamenti e stili di vita” (Di Folco – Marcasciano, 2001), ed è proprio nei contesti lavorativi che si riconosce la maggiore vulnerabilità alle discriminazioni ( Casiccia – Saraceno, 2002). Lo scudo che si produce è caratterizzato da resistenze e difficoltà di accesso al mercato del lavoro generate da ignoranza, conservazione e familismo. Le ragioni della discriminazione vanno quindi ricercate nella presenza di nuovi e vecchi integralismi e nell’inadeguatezza culturale e storica da parte della società a riconoscere come propri stili di vita non corrispondenti a standard rassicuranti definiti “socialmente accettabili” (Toniollo, 2001[1]).

Quali sono le discriminazioni?

Analizzando la situazione lavorativa è possibile individuare due dinamiche discriminanti, statisticamente rilevanti: quella della discriminazione di ingresso nel mercato del lavoro, e quella del mobbing orizzontale o verticale, che si manifesta nel lavoro.

La prima modalità discriminatoria si esplicita in sede di colloquio di lavoro, dove la persona transgender o gender non-conforming, che viene identificata come tale in ragione del suo aspetto fisico o di documenti di riconoscimento non conformi alla sua identità, nella maggioranza dei casi vede respinta la sua candidatura. In particolare l’associazione ricorrente a livello culturale fra il concetto di transessualità e quello di prostituzione costituisce “uno fra gli ostacoli e le grosse difficoltà nel diritto di accesso al lavoro che penalizza l’intera categoria” (Di Folco – Marcasciano, 2001). Quest’ultima modalità causa tassi di disoccupazione più elevati di nella popolazione transgender rispetto alla popolazione non transgender (di s.).

La seconda modalità discriminatoria si lega alla particolarità principale e più evidente della condizione transgender sul posto di lavoro, la visibilità. Quella transgender è infatti una condizione che non può prescindere dal rendersi pubblica. Tale visibilità ha sempre una immediata ricaduta su tutti gli aspetti della vita affettiva, familiare ed anche lavorativa, ponendo nell’immediato le persone interessate a rischio di discriminazione. Con il coming out la persona può subire mobbing verticale, da parte quindi di management e datori di lavoro, o orizzontale, da parte di colleghi e pari (Cgil Settore Nuovi Diritti ).

Le discriminazioni sono dichiarate e manifeste?

La discriminazione non è mai manifesta, dato che la normativa italiana tutela contro le discriminazioni dovute all’identità di genere, sia all’atto dell’assunzione, sia durante il rapporto di lavoro e nessun provvedimento sanzionatorio può essere preso a motivo dell’adeguamento fisico e sociale all’identità di genere del lavoratore. Pertanto le pratiche discriminarorie sono spesso mascherate da pretesti legali, sono indirette e quasi mai l’adeguamento di genere del dipendente é motivo ufficiale di un provvedimento disciplinare o dell’esito negativo di un colloquio di assunzione (Toniollo, 2001).

Come incide la precarizzazione delle tutele nel lavoro?

Le trasformazioni del lavoro, il sorgere di una società basata su di un lavoro più autonomo, più individualizzato, più flessibile, sta scardinando il vecchio sistema organizzativo delle tutele (Semenza 2004), rendendo ancor più vulnerabili i lavratori appartenenti a gruppi sociale svantaggiati ( Toniollo, 2001).

Per evitare queste forme discriminatorie spesso le persone transgender e gender non-conforming sono portate a celare, per quanto possibile, la loro reale identità di genere. La carriera o la stabilità del posto di lavoro sono influenzate dal rendere pubblica o meno la propria condizione: la diffusa disinformazione sulla realtà transgeder “genera spesso equivoci, imbarazzo e a volte violenza ed aggressività” (Di Folco – Marcasciano, 2001).

Un etichettatura sociale (“social labelling”) negativa nell’ambito del lavoro può trasformarsi in un auto- etichettatura (“inner labelling”) e, conseguentemente, in una scarsa fiducia nelle proprie possbilità di inserimento lavorativo (Ageform, 2002).

Qual è il quadro legislativo? Quali tutele?

Il quadro legislativo frammentato e diversificato nei paesi dell’Unione Europea, dimostra come in molti stati membri la tutela nel luogo di lavoro delle persone transgender sia una pratica complessa e da questo punto di vista le attività delle associazioni di riferimento, dei sindacati e di alcune parti politiche si dimostra l’unico punto di appoggio nelle istanze di tutela dei diritti di queste persone nei luoghi di lavoro. In alcuni paesi dell’Unione Europea, le organizzazioni sindacali si occupano non da molto tempo specificatamente della questione, con impegni ed iniziative diversificate e recentemente queste tutele hanno avuto un recepimento formale anche dalla Conferenza Europea dei Sindacati, all’interno della Segreteria Politiche Sociali. In Italia il Dipartimento Diritti di Cittadinanza, l’Ufficio Nuovi Diritti della CGIL nazionale ed alcune Camere del Lavoro hanno promosso in questi anni iniziative pubbliche di discussione, organizzato convegni, seminari, partecipato ai congressi delle principali associazioni nazionali ed internazionali. Sono stati aperti sportelli di consulenza e ascolto per gay, lesbiche e persone transgender nelle Camere del Lavoro di Milano, Torino, Bologna e Genova ( CGIL Settore Nuovi Diritti).

Note

[1] Maria Gigliola Toniollo è responsabile dell’Ufficio Nuovi Diritti della Cgil nazionale, che dal 1988 promuove l’iniziativa sindacale contro la discriminazione di gay, lesbiche e transgender nel mondo del lavoro. L’attività contro le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere si sviluppa su numerosi fronti, tradizionalmente sindacali e meno tradizionalmente sindacali, dall’organizzazione di iniziative pubbliche per informare e sostenere iniziative per il diritto allo studio, alla scrittura e al sostegno di proposte di legge per l’approvazione di norme antidiscriminatorie, nonché interventi legislativi in favore delle persone transessuali, dalla tutela sul posto di lavoro all’attivazione di uffici antimobbing, alle iniziative contro le limitazioni del Servizio Sanitario Nazionale. Con l’istituzione di sportelli di consulenza sul territorio si sono avute esperienze importanti in alcune Camere del Lavoro metropolitane come la Camera del Lavoro di Milano. Particolarmente attivi oggi l’Ufficio Nuovi Diritti Ligure e lo sportello trans presso il MIT di Bologna. Altre esperienze stanno comunque nascendo, di particolare rilievo l’Ufficio Nuovi Diritti del Sindacato della Comunicazione.

Gender nonconforming: qual è il significato di quest’espressione?

  • Che cosa significa essere persone gender-non conforming?
  • Ci si può sentire nè uomo nè donna? Ci si può sentire sia uomini che donne?
  • Che cosa significa essere non-binary? Che cosa significa essere persone trans non medicalizzate?

Gender non-conforming

Chi sono tutte quelle persone che decidono di NON rientrare in un percorso di transizione standardizzato, di non assumere ormoni e di non sottoporsi a interventi chirurgici o di farlo soltanto parzialmente, seguendo il proprio faro? Possono essere anch’esse considerate persone transgender?

Come il termine transgender, il termine gender non-conforming è un termine ombrello che ricomprende molte sfumature e possibilità.

Una di queste, ad esempio, è l’essere persone transgender non medicalizzate (rimandiamo al sito Progetto GenderQueer per informazioni più precise sui percorsi di transizione che non prevedono la medicalizzazione).  È importante sottolineare che queste persone sono anch’esse persone transgender che, semplicemente, scelgono di non intraprendere un tipo di percorso che prevede terapie ormonali o interventi chirurgici.

 

Transgenerità e non-conformità di genere sono malattie o “disturbi”? O il problema è la società?

Dal 2018 la transessualità non è più considerata una malattia mentale

Nel 2018 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha deciso di rimuovere la transessualità dal capitolo dei disturbi mentali dell’International Classification of Diseases (ICD): non ci stancheremo mai di dire che il problema è una società malata di binarietà e di una visione manichea dei generi, non certo le persone transgenere o di genere non conforme.

La naturale non conformità di genere (o “variabilità di genere”) dell’essere umano è penalizzata dal la binarietà culturale che prevede due uniche opzioni: maschile o femminile (Rothblatt, 1995). Le persone transgender e gender non-conforming altro non sarebbero che gli individui più mortificati dal binarismo nell’espressione della propria identità, i meno aderenti allo stereotipo imposto dall’appartenenza ad un sesso biologico, coloro che operano la scelta più clamorosa e visibile: il cambio di genere. In questa rappresentazione, esse rappresenterebbero quindi soltanto la punta di un iceberg, essendo il binarismo di genere un forte limite per tutti gli individui, di qualsiasi orientamento sessuale e di genere (Nardacchione, 2000).

Nel nostro sistema culturale i due sessi vengono rappresentati sul piano del simbolico come “opposti”, ma sarebbero in realtà statisticamente in gran parte coincidenti. Non esisterebbero quindi caratteristiche comportamentali esclusive di uno dei due sessi. Ciascuna caratteristica comportamentale attribuita ad uno dei sessi in un sistema culturale sarebbe riscontrabile come caratteristica peculiare del sesso opposto in altro contesto geografico e/o temporale (Nardacchione, 2000).

Secondo Nardacchione, prima o poi si dovrà ammettere che l’aspirazione transgender sarebbe in realtà una risorsa a cui attingere presente in tutti gli individui a livello inconscio, e che in certi individui tale l’aspirazione si dilata a progetto di vita. Ciò accadrebbe quando l’appartenenza al proprio sesso biologico ed il conseguente “ingabbiamento in uno stereotipo” diviene fonte di frustrazione tale da spingere verso un percorso transgender.

Qual è il punto di vista del pensiero transgender?

Ovviamente non esiste un solo punto di vista all’interno dell’elaborazione culturale transgender, ma molteplici.

Secondo Rothblatt e Nardacchione, autorevoli esponenti dell’intellighenzia transgender, il maschile ed il femminile sarebbero stereotipi culturali ai quali nella storia sarebbe stato attribuito erroneamente il rango di identità biologiche.

Il considerare gli stereotipi sessuali come fenomeni congenito/ biologici, attribuisce loro apparentemente le caratteristiche di immutabilità e di impermeabilità ad ogni tentativo di manipolazione esterna. Questo finisce coll’essere “politicamente corretto”, vale a dire coerente e sinergico con l’organizzazione della società che prevede ruoli e status differenti per uomini e donne.

Estremamente pertinenti ed importanti in proposito gli studi di Margaret Mead, nota antropologa, che già negli anni ’30 ipotizzò che le differenze comportamentali fra maschi e femmine non dipendono dal sesso, bensì da costruzioni sociali. Mead giunse a queste conclusioni dopo aver osservato diverse tribù nella Nuova Guinea settentrionale, nelle quali gli stereotipi di genere erano ribaltati nella loro attribuzione: le femmine Ciambuli, ad esempio, erano dedite alla guerra e ricoprivano ruoli economicamente e socialmente dominanti, affidando ai maschi la cura della prole (Mead, 1935)

La fine della binarietà dei generi: la libertà di genere

Nardacchione e Rothblatt ipotizzano che i tempi siano ormai maturi per una sola opzione: la fine della binarietà di genere, la libertà di ciascuno di essere o non essere o di come essere “uomo” o “donna”. Ma per fare questo sarebbe a loro avviso indispensabile riconoscersi tutti, omosessuali, transgender ed eterosessuali, come parte di una stessa realtà omogenea. L’unica strada che può portare al superamento della attuale società, che è omofoba non meno che misogina, sarebbe convincerci tutti che, fatte salve le norme che tutelano da maternità e la paternità, il sesso, l’identità e l’orientamento sessuale degli individui debbano diventare fatto assolutamente privato e quindi giuridicamente, socialmente e culturalmente irrilevanti.

Bibliografia

  • M.Mead, Sesso e temperamento, Il Saggiatore Tascabili, 2009.
  • ROTHBLATT M.., L’apartheid del sesso, Il Saggiatore, Milano, 1997.
  • NARDACCHIONE D., Transessualismo e Transgender. Superando gli stereotipi, Il Dito e la Luna, Milano, 2000.

Il Progetto Identità di Genere apre ai familiari e agli affetti delle persone transgender e di genere non conforme

Con l’amico Daniele Brattoli, abbiamo avviato il “PROGETTO IDENTITA’ DI GENERE” presso il Circolo Harvey Milk nel 2013 (nella foto, eravamo ad uno dei primi incontri).
Successivamente, in questa avventura della gestione del progetto, si è unita a noi anche la bravissima Laura Caruso.
Stasera – per la prima volta – apriremo il gruppo anche ai familiari e agli affetti delle persone #transgender e di genere non conforme, anche perché l’età delle persone che si rivolgono al progetto – che si basa sul lavoro esclusivo di volontari – è andata gradualmente abbassandosi, e i giovanissimi stanno diventando maggioranza.
Gestire questo workshop sarà un grande piacere, ma anche una responsabilità. Sono felice e soddisfatta, anche se un po’ tesa ed emozionata.

Gender non-conforming

  • Che cosa significa essere persone gender-non conforming?
  • Si può non essere nè uomo nè donna? Si può essere sia uomini che donne?
  • Che cosa significa essere non-binary? Che cosa significa essere persone trans non medicalizzate?

Gender non-conforming

Chi sono tutte quelle persone che decidono di NON rientrare in un percorso di transizione standardizzato, di non assumere ormoni e di non sottoporsi a interventi chirurgici o di farlo soltanto parzialmente, seguendo il proprio faro? Possono essere anch’esse considerate persone transgender?

 

Come il termine transgender, il termine gender non-conforming è un termine ombrello che ricomprende molte sfumature e possibilità.

Una di queste, ad esempio, è l’essere persone transgender non medicalizzate (rimandiamo al sito Progetto GenderQueer per informazioni più precise sui percorsi di transizione che non prevedono la medicalizzazione).  È importante sottolineare che queste persone sono anch’esse persone transgender che, semplicemente, scelgono di non intraprendere un tipo di percorso che prevede terapie ormonali o interventi chirurgici.

 

Transgenerità e non-conformità di genere sono malattie o “disturbi”? O il problema è la società?

 

 

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Non ci stancheremo mai di dire che il problema è una società malata di binarietà, di una visione manichea dei generi.

La naturale non conformità di genere (o “variabilità di genere”) dell’essere umano è penalizzata dal la binarietà culturale che prevede due uniche opzioni: maschile o femminile (Rothblatt, 1995). Le persone transgender e gender non-conforming altro non sarebbero che gli individui più mortificati dal binarismo nell’espressione della propria identità, i meno aderenti allo stereotipo imposto dall’appartenenza ad un sesso biologico, coloro che operano la scelta più clamorosa e visibile: il cambio di genere. In questa rappresentazione, esse rappresenterebbero quindi soltanto la punta di un iceberg, essendo il binarismo di genere un forte limite per tutti gli individui, di qualsiasi orientamento sessuale e di genere (Nardacchione, 2000).

Nel nostro sistema culturale i due sessi vengono rappresentati sul piano del simbolico come “opposti”, ma sarebbero in realtà statisticamente in gran parte coincidenti. Non esisterebbero quindi caratteristiche comportamentali esclusive di uno dei due sessi. Ciascuna caratteristica comportamentale attribuita ad uno dei sessi in un sistema culturale sarebbe riscontrabile come caratteristica peculiare del sesso opposto in altro contesto geografico e/o temporale (Nardacchione, 2000).

Secondo Nardacchione, prima o poi si dovrà ammettere che l’aspirazione transgender sarebbe in realtà una risorsa a cui attingere presente in tutti gli individui a livello inconscio, e che in certi individui tale l’aspirazione si dilata a progetto di vita. Ciò accadrebbe quando l’appartenenza al proprio sesso biologico ed il conseguente “ingabbiamento in uno stereotipo” diviene fonte di frustrazione tale da spingere verso un percorso transgender.

 

Qual è il punto di vista del pensiero transgender?

 

La copertina del libro di Martine Rothblatt, “The apartheid of Sex”

 

Ovviamente non esiste un solo punto di vista all’interno dell’elaborazione culturale transgender, ma molteplici.

Secondo Rothblatt e Nardacchione, autorevoli esponenti dell’intellighenzia transgender, il maschile ed il femminile sarebbero stereotipi culturali ai quali nella storia sarebbe stato attribuito erroneamente il rango di identità biologiche.

Il considerare gli stereotipi sessuali come fenomeni congenito/ biologici, attribuisce loro apparentemente le caratteristiche di immutabilità e di impermeabilità ad ogni tentativo di manipolazione esterna. Questo finisce coll’essere “politicamente corretto”, vale a dire coerente e sinergico con l’organizzazione della società che prevede ruoli e status differenti per uomini e donne.

Estremamente pertinenti ed importanti in proposito gli studi di Margaret Mead, nota antropologa, che già negli anni ’30 ipotizzò che le differenze comportamentali fra maschi e femmine non dipendono dal sesso, bensì da costruzioni sociali. Mead giunse a queste conclusioni dopo aver osservato diverse tribù nella Nuova Guinea settentrionale, nelle quali gli stereotipi di genere erano ribaltati nella loro attribuzione: le femmine Ciambuli, ad esempio, erano dedite alla guerra e ricoprivano ruoli economicamente e socialmente dominanti, affidando ai maschi la cura della prole (Mead, 1935)

La fine della binarietà dei generi: la libertà di genere

Nardacchione e Rothblatt ipotizzano che i tempi siano ormai maturi per una sola opzione: la fine della binarietà di genere, la libertà di ciascuno di essere o non essere o di come essere “uomo” o “donna”. Ma per fare questo sarebbe a loro avviso indispensabile riconoscersi tutti, omosessuali, transgender ed eterosessuali, come parte di una stessa realtà omogenea. L’unica strada che può portare al superamento della attuale società, che è omofoba non meno che misogina, sarebbe convincerci tutti che, fatte salve le norme che tutelano da maternità e la paternità, il sesso, l’identità e l’orientamento sessuale degli individui debbano diventare fatto assolutamente privato e quindi giuridicamente, socialmente e culturalmente irrilevanti.

Bibliografia

  • M.Mead, Sesso e temperamento, Il Saggiatore Tascabili, 2009.
  • ROTHBLATT M.., L’apartheid del sesso, Il Saggiatore, Milano, 1997.
  • NARDACCHIONE D., Transessualismo e Transgender. Superando gli stereotipi, Il Dito e la Luna, Milano, 2000.