Cara azienda, discriminare ti costa!

Nell’ambito del Master in Diversity Management e Gender Equality della Fondazione Giacomo Brodolini, Francesca Lauro e Alessandra Chironi dello Studio legale Hogan Lovells hanno aperto il loro brillante intervento spiegandoci che per descrivere la discriminazione e la segregazione che ostacolano e limitano le donne nel mondo del lavoro – oltre alla famosa espressione soffitto di cristallo o di vetro – possiamo utilizzare l’altrettanto efficace muro di cravatte.

Perché discriminare è costoso e sconveniente?

Discriminare porta conseguenze negative a tutti i livelli, incidendo negativamente sulla reputazione dell’azienda, aumentando i costi di gestione del personale a causa di costose cause giudiziarie, abbassando la produttività (i collaboratori e i dipendenti che si sentono esclusi e marginalizzati lavorano male e si assentano spesso), aumentando il turnover (chi sta male su un posto di lavoro – presto o tardi – se ne va) e diminuendo la capacità dell’azienda di attirare i migliori talenti.

Non basta stare nella legalità

Discriminare nel lavoro è illegale, lo dicono la nostra Costituzione, il Diritto Antidiscriminatorio UE e le leggi, a partire dalle Legge n°300 del 20 maggio del 1970, meglio conosciuta come “Statuto dei Lavoratori”. Ma occorre fare molta attenzione, perché rispettare le leggi non basta. Molto più spesso di quanto non si pensi, anche una condotta che può apparire ineccepibile sul piano legale può rivelarsi discriminatoria, come un atteggiamento reiteratamente poco accogliente nei confronti di un colaboratore. Inoltre, la discriminazione non deve necessariamente colpire una singola persona, può bastare una semplice dichiarazione che risulti penalizzante verso una categoria sociale. Pensiamo alla Sentenza della Cassazione 28646/2020, che ha condannato al risarcimento del danno un avvocato che dichiarò di non voler assumere gay: le associazioni rappresentative dei diritti lesi – in questo caso le associazioni LGBT+ – poterono agire in giudizio.

La lunga strada verso la parità di genere

“Le donne ai vertici aziendali sono come l’ossigeno in montagna”, e questo a dispetto delle previsioni del Codice delle Pari Opportunità fra uomini e donne (DLgs 198/2006), dell’instancabile quanto poco valorizzato lavoro delle Consigliere di Parità – veri e propri pubblici ufficiali che hanno il potere di promuovere la procedura di conciliazione nel caso in cui una dipendente decida di ricorrere a seguito di un trattamento discriminatorio – e dell’obbligo per le aziende con più di cento dipendenti di trasmettere alle RSA e RSU il dato del numero di donne occupate.

L’importanza di formare adeguatamente il Top Management su diversity e antidiscriminazione

Fondamentale! Il cambiamento della cultura aziendale e lo sviluppo di positive work environment deve necessariamente partire dai vertici.

Diversity, inclusion e persone LGBT nel mondo del lavoro

La dott.ssa Monica Romano ha presentato l’intervento che segue, disponibile anche in video, presso il Municipio 3 di Milano il 2 marzo 2017, in occasione dell’incontro Donne, genere e lavoro – Istruzioni per l’uso.

Il quadro italiano delle discriminazioni nel lavoro delle persone LGBT non è semplice da definire, prima di tutto perché mancano i numeri: non conosciamo il numero di persone discriminate e, quando una discriminazione avviene, è molto difficile fornirne la prova. Quando parliamo di discriminazioni – in concreto – ci riferiamo al blocco della carriera, al mobbing orizzontale (quello messo in atto dai colleghi) e a quello verticale (quello messo in atto dai colleghi superiori gerarchicamente o dallo stesso datore di lavoro), alle molestie sessuali, all’esito negativo del periodo di prova, al mancato rinnovo del contratto a tempo determinato, fino ad arrivare al licenziamento.

Si può licenziare un dipendente perché gay, lesbica o transgender?

Ricordo che il licenziamento discriminatorio resta vietato nel nostro ordinamento, ma che l’onere della prova è a carico del lavoratore. Il licenziamento dichiarato discriminatorio in giudizio è nullo e comporta il diritto alla reintegra, il pagamento di tutte le retribuzioni perdute e la regolarizzazione previdenziale (e questo indipendentemente dalla dimensione aziendale). In Italia esiste il decreto legislativo 216/2003 che vieta la discriminazione basata sull’orientamento sessuale facendo esplicito riferimento ad essa.

Chi subisce le maggiori discriminazioni nell’acronimo LGBT+?

Le discriminazioni si differenziano per intensità a seconda della lettera dell’acronimo LGBT che vanno a colpire.

Ad esempio, spesso sentiamo dire che le lesbiche subiscono una doppia discriminazione, ma io direi che è anche tripla: sono infatti discriminate in quanto lesbiche, in quanto donne e, se lo sono, in quanto mamme. L’attenzione spesso morbosa che una coppia di donne subisce rende difficile il coming out sul posto di lavoro e quella dell’invisibilità diventa spesso una scelta obbligata. La madre sociale, quella non biologica nella coppia, da una parte ha tutti quegli oneri conseguenti alla genitorialità che possono incidere negativamente sulla sua carriera, ma dall’altra ma non gode delle agevolazioni previste perché non il suo status di genitrice non  viene riconosciuto.

Abbiamo poi le persone transgenere o transgender, che restano le più colpite dalle discriminazioni, a causa dell’impossibilità di nascondere quella rivoluzione estetica necessaria e conseguente all’iter di transizione. Le persone transgenere incontrano barriere all’ingresso del mercato del lavoro, dove vengono scartate ai colloqui di selezione, e mobbing sul posto di lavoro, quando iniziano l’iter in azienda. Complessa e non semplice è poi la gestione di rapporti di lavoro autonomo e nello svolgimento di libere professioni, dove è il rapporto con i clienti a presentare criticità.

Quanto incide la precarizzazione delle tutele nel lavoro?

In questo senso, l’ultima riforma del sistema lavoro chiamata Jobs act non ha migliorato la situazione. Pur avendo portato alcune evoluzioni sul piano della tutela del lavoro prevedendo, ad esempio, maggiori tutele per la maternità delle lavoratrici autonome e delle iscritte alla Gestione Separata Inps e ampliato la platea dei beneficiari di trattamenti di sostegno al reddito in caso di disoccupazione, questa riforma ha messo in discussione importanti diritti che storicamente si consideravano acquisiti in Italia, legati soprattutto al lavoro a tempo indeterminato in aziende con più di 15 dipendenti e alle tutele previste dallo Statuto dei lavoratori. Il Contratto a Tempo Indeterminato a Tutele Crescenti (CATUC), ha definitivamente sostituito il Contratto a Tempo Indeterminato che conoscevamo da decenni, rendendo di fatto più facile licenziare per un datore di lavoro.

Quindi, se è vero che la tutela dai licenziamenti discriminatori ancora sussiste, è altresì vero che una generale maggiore agibilità ai licenziamenti da parte del datore di lavoro di norma comporta maggiori rischi per quelle categorie più deboli da un punto di vista sociale e culturale, come le donne e le persone LGBT.

Cosa può fare il Comune di Milano per impedire le discriminazioni nel lavoro?

Venendo alla domanda che ha aperto questo nostro evento –  Cosa può fare un’amministrazione cittadina per fronteggiare le discriminazioni? – come potremmo quindi rispondere?

Senz’altro che un’amministrazione cittadina può fare moltissimo. Ad esempio promuovere una diversa cultura aziendale e organizzativa, formando imprenditori e manager aziendali, promuovendo l’idea che il diversity management non il è fumo negli occhi – come molti imprenditori ancora pensano –  ma una politica di gestione del personale che può incrementare la produttività di un’azienda.

Dovremmo seguire l’esempio di città come Londra, Berlino o Barcellona, che hanno politiche di diversity & inclusion molto sviluppate: occorre far sì la giustizia organizzativa divenga strategia organizzativa.

Non si tratta solo di insegnare che discriminare è sbagliato, o che non discriminare ci rende migliori e politicamente corretti, ma anche che scegliere l’inclusione è vantaggioso in termini strategici e di competitività per un’impresa. Si tratta di spiegare che il pregiudizio in ragione dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere delle persone può essere un ostacolo al reclutamento e alla promozione del candidato più qualificato per un lavoro e dei migliori talenti che il mercato offre, eccellenze incluse.

Creare un ambiente di lavoro sereno e adatto a qualunque persona risulta vincente per tutti, anche per i collaboratori maschi, bianchi ed eterosessuali. L’assenza di discriminazioni è produttiva.

Mettere l’etica è al centro è insomma più intelligente,oltre che giusto.

Queste sarebbero delle ottime premesse per far sì che, un domani, qui a Milano, si potrà essere persone gay, lesbiche e transgender dichiarate e ambire a fare carriera anche fino ai massimi vertici. Questa potrebbe essere una grande sfida per la nostra città.

Formazione su transessualismo e variabilità di genere presso State Street Bank

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Transessualismo

L’incontro con la dott.ssa Monica Romano sarà un momento prezioso per conoscere aspetti legati alla
identità di genere e alla transessualità nel mondo del lavoro.
La dott.ssa Monica Romano consegue la Laurea magistrale in Scienze Politiche, indirizzo sulle relazioni
industriali e la gestione delle risorse umane, con una tesi dedicata alla transessualità nella società e nel
lavoro. L’anno successivo l’editore Silvio Mursia trasformerà la tesi in un saggio: “Diurna. La transessualità
come oggetto di discriminazione” (2008, Costa & Nolan).
Pubblica altri due libri: il romanzo di formazione “Trans. Storie di ragazze XY” (2015) – nel quale ha
raccontato la sua esperienza autobiografica in un’ottica sociale, culturale e divulgativa – e il memoir
militante “Gender (R)Evolution” (2017), entrambi pubblicati per i tipi di Ugo Mursia editore. Negli anni dal
2016 al 2019 ha organizzato numerose presentazioni in tutta Italia.