Il veterofemminismo all’attacco delle donne transgender

Sull’edizione online de “La Repubblica” trovo questo articolo di una femminista, Elinor Burkett, che attacca pubblicamente Caitlyn Jenner, donna transgender, ex campione olimpico di decathlon, che ha rilasciato un intervista per Vanity Fair dopo il suo coming out.

Donne e uomini hanno lo stesso cervello? Il dibattito che divide femministe e transgender

Niente di nuovo sotto il sole!

Il solito attacco rivolto alle donne transgender da parte di un femminismo vecchio, anacronistico e cronicamente incapace di rendere le proprie istanze universali e condivise.
Secondo Elinor Burkett non è uno smalto a fare una donna.
Io aggiungerei che non lo sono nemmeno una coppia di cromosomi o l’ovulazione, e che anche in assenza di questi si viene discriminate e marginalizzate in quanto donne, e non solo. Anche in quanto transgender che osano mettere in discussione un maschile assegnato per esprimere un femminile conquistato pagando spesso un prezzo altissimo in termini sociali.
Siamo l’antitesi di patriarcato e fallocentrismo, e nemmeno l’abbiamo scelto, perché l’identità di genere certo non si sceglie.
Non saranno queste vecchie femministe, veri tromboni sfiatati, a mettere in discussione tutto questo. Che cambino i loro bersagli, perché il vero nemico non sono certo le trans.

#‎StopTransfobia‬
‪#‎StopTransphobia‬

Ignorarle non paga! Perchè è giusto manifestare contro le “Sentinelle in piedi”.

Domenica 12 aprile ho preso parte al presidio in risposta alle “Sentinelle in piedi” organizzato a Milano all’Arco della Pace.

Non ho partecipato in rappresentanza dell’associazione di cui faccio parte, il Circolo Harvey Milk di Milano, ma a titolo personale.

A chi mi ha chiesto se di domenica non avessi null’altro di meglio da fare, ho risposto che sì, avrei certo potuto fare di meglio, ma che scendere in piazza raprresenta un'”imperativo categorico” per me, come cittadina che rivendica la laicità delle istituzioni, come donna transgender e come lesbica. 

Non posso infatti accettare l’idea che questa gente scenda in piazza per contrapporsi primariamente, ricordiamolo, ad un disegno di legge contro l’omotransfobia. Provo una forte rabbia, sì. Perchè queste persone, queste “sentinelle”, se non fosse chiaro a qualcuno, vogliono che la violenza contro le persone LGBT*, che quasi quotidianamente le cronaca ci restituisce, continui nell’omertà e nel silenzio, che non sia prevista un’aggravante delle pene comminate a chi ci insulta, ci picchia, ci ammazza. Vogliono riportare in auge le “teorie riparative”, secondo le quali omosessualità e transessualità sarebbero “curabili”. Vogliono entrare nelle nostre teste e correggerci. Vogliono che si continui ad impedirci di essere famiglia e si battono contro il riconoscimento sul piano legislativo e giuridico della nostra esistenza e dignità. Tutto questo dietro al paravento della “libertà di espressione” e di modalità solo apparentemente pacifiche di manifestare. La realtà è che dietro al silenzio e ad un pacifismo di facciata, si nasconde la più feroce, colpevole e fascista intenzione di reprimerci e annullarci.

 Tenendo la mano della mia compagna, ho osservato questi difensori della “famiglia naturale” mentre inscenavano con solerzia la solita demenziale rappresentazione: disposti in ordinatissime file, con gli sguardi rivolti sui loro bei libretti, in silenzio.

Fra noi e loro un cordone di poliziotti, a tutela della sicurezza di tutt*.

 A promuovere il presidio a cui ho preso parte, ancora una volta (se ne era già tenuto uno a dicembre, promosso da “I sentinelli”), non è stato l’associazionismo LGBT* “tradizionale”, ma altre soggettività (questa volta il collettivo “Le lucciole” e i Pastafariani), e di questo non posso che rammaricarmi.

Credo infatti che dovrebbero essere le associazioni LGBT*, in primis quelle considerate più rappresentative (a ragione o a torto), a promuovere ed organizzare presidi in risposta alle Sentinelle in Piedi, avendo un ruolo da protagoniste.

La dialettica è invece a ruoli invertiti: sono le altre soggettività, come i già citati Sentinelli (che hanno tutto il mio rispetto e la mia stima, non mi si fraintenda), a promuovere ed organizzarre i presidi. Le associazioni, semplicemente, scelgono se aderire o non aderire, accodandosi ad iniziative promosse da altri.

Questo perchè fino ad ora l’associaziosmo LGBT* ha scelto di ignorare le Sentinelle in Piedi, ritenendo che manisfestare contro questa gente significhi fare il loro gioco, offrire loro visibilità. E’ così accaduto che l’indignazione che le persone LGBT*, i loro amici, familiari e sostenitori provano nei confronti di chi scende in piazza al solo scopo di negare diritti e dignità, sia stata (legittimamente!) cavalcata e catalizzata da altre organizzazioni.

Un grave errore politico.

Purtroppo, negli ultimi anni, il “manifestare contro” e l’idea stessa di protesta hanno perduto moltissimo appeal politico presso i nostri movimenti. Giorni fa una militante di Arcilesbica, durante una riunione del Coordinamento Arcobaleno delle associazioni LGBT* milanesi, giustamente ricordava come alla legge 194 sull’aborto, vera conquista di civiltà, si sia arrivati protestando e facendosi sentire.

Dovremmo essere noi, gli addetti ai lavori, i volontari delle associazioni aperte e operative tutto l’anno, a studiare il caldendario delle Sentinelle e ad organizzare qui a Milano il prossimo presidio, potendo così dare anche la linea sul comportamento da tenere durante la manifestazione, garantendo regole e contenuti condivisi nell’espressione del dissenso della nostra “base”.

Questa è la proposta che porterò presso la mia associazione, il Milk, che, essendo associazione plurale, porta giustamente in sè differenti punti di vista e sensibilità sulla questione, nella speranza che trovi accoglimento e condivisione.

Anche se così non dovesse essere, continuerò a prendere parte a presidi e proteste a titolo personale, nella speranza che l’associazionismo LGBT* sia protagonista e promotore delle future mobilitazioni.

“Dallas Buyers Club” e gli stereotipi sulle donne transgender

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A chi ha visto il film “Dallas Buyers Club”, consiglio caldamente la lettura di questo articolo di Time, che stronca senza troppi complimenti il personaggio di Rayon, donna transgender, interpretata da Jared Leto:
Davvero interessante il parallelismo con Hattie McDaniel, la celebre ‘Mamy’ di “Via col vento”, che vinse l’Oscar come miglior attrice non protagonista portando sul grande schermo un personaggio altrettanto stereotipato.
“What did the writers of “Dallas Buyers Club” and Leto as her portrayer decide to make Rayon? Why, she’s a sad-sack, clothes-obsessed, constantly flirting transgender drug addict prostitute, of course. There arie no stereotypes about transgender women that Leto’s concoction does not tap. She’s an exaggerated, trivialized version of how men who pretend to be women — as opposed to those who feel at their core they are women — behave. And in a very bleak film, she’s the only figure played consistently for comic relief, like the part when fake-Woodruff points a gun at Rayon’s crotch and suggests he give her the sex change she’s been wanting. Hilarious.”