Il canone eteroimitativo, l’orgoglio e la riconoscibilità LGBT*

Articolo pubblicato sul primo numero della rivista di cultura LGBT* ” Il Simposio” 

Non diresti mai che è gay!”, “Non ha certo l’aspetto della lesbica“, “Non avrei mai detto che è trans!”.

Queste affermazioni sono piuttosto ricorrenti quando si parla di gay, lesbiche e trans. Normalmente chi le pronuncia intende esprimersi positivamente sulla persona a cui si riferisce, volendo fare un apprezzamento, ed affermando, il più delle volte in modo inconsapevole, che:

Lui/lei è gay/lesbica/trans, ma questo non è problema, perché non si vede”.

Il discrimine fra l’essere persone LGBT* “in” o “out” starebbe dunque oggi nella visibilità, nella riconoscibilità per la strada, e le nuove generazioni LGBT*, i giovanissimi, introiettano questo canone estetico e comportamentale, che potremmo definire “eteroimitativo” o di “eterosomiglianza”.  Sarebbe dunque “in” il gay che si rende indistinguibile da un uomo eterosessuale grazie ad un atteggiamento virile,  o la lesbica abbastanza femminile da poter sembrare una donna eterosessuale. Questo dogma regola peraltro anche il grado di accettabilità sociale delle persone transgender, imponendo il “passing“:  le donne trans sono infatti “in” se ‘passano’ per donne genetiche (possibilmente belle, eterosessuali, sorridenti, e con la taglia 42),  e gli uomini trans se ‘passano’ per maschi genetici. Il percorso di transizione sarebbe dunque riuscito quando  cancella quelle caratteristiche che rendono la persona trans* riconoscibile (“Però, è uscit* bene!”). Il modello estetico e comportamentale che va oggi per la maggiore fra le giovani persone T* è quindi quello volto al raggiungimernto della modalità “stealth”, termine mutuato dal linguaggio militare che identifica gli aerei invisibili ai radar, e ora anche le persona transgender che, non dichiarandosi, si mimetizzano nella società.

Il canone eteroimitativo condiziona anche la subcultura LGBT*, rendendo “out” le lesbiche maschili e/o butch, i gay femminili, le trans e i trans riconoscibili in quanti tali. Costoro, i ‘trasgressori di genere’, oltre ad essere i bersagli più facili nella vita di tutti i giorni per la loro immediata riconoscibilità, subendo in misura maggiore il bullismo a scuola, il mobbing nel lavoro, una probabilità maggiore di subire aggressioni e molestie verbali per la strada, sono spesso marginalizzati anche all’interno della comunità LGBT*, colpevoli di non aver adeguato la loro apparenza ai dettami di una legge non scritta che ci vorrebbe tutti uguali agli eterosessuali.

I trasgressori di genere finiscono così con l’introiettare un senso di disvalore generato sì dalla società eterosessista e genderista, ma anche tristemente riconfermato ed alimentato da una subcultura LGBT* che riproduce valori omotransfobici e figli del binarismo di genere.

Il canone di eterosomiglianza si fa peraltro sempre più incisivo man mano che la società civile apre alle nostre istanze, accettando un po’ di più quelli che fra noi sembrano ‘meno diversi’, e rafforzando il discrimine e la distanza fra LGBT* perbene da un lato e ‘cattive ragazze’ dall’altro.

Ma il nostro benessere e  la nostra qualità di vita non dovrebbero passare anche da un sano orgoglio per quelle peculiarità che ci rendono “divers*”, bell’aggettivo ormai soppresso dal lessico politically correct, rispetto al paradigma di genere e sessuale dominante? Quando uguaglianza nei diritti e pari opportunità sociali sono diventati sinonimo  di appiattimento, o peggio ancora, adeguamento delle nostre caratteristiche? Non dovremmo trasmettere la fierezza per le nostre differenze, anche e soprattutto quelle visibili, ai giovanissimi LGBT*, dando loro risorse e strumenti utili a riscattarsi da una cultura che è peraltro sempre più massificante e nemica delle differenze? Non dovremmo ricordare loro che ad essere maggiormente stigmatizzati nella nostra comunità sono proprio quelli che furono la punta di diamante di quel gruppo che, ormai più di quarant’anni fa, diede il via ai moti di Stonewall, e che la grande Sylvia Rivera non perdeva occasione per ricordare che “la scintilla della rivoluzione l’abbiamo cominciata noi checche, travestiti e puttane”?

L’America LGBT “homeless”

Ho letto l’inchiesta che il Venerdì di Repubblica ha dedicato ai giovanissimi LGBT “homeless”, ovvero senza casa, di San Francisco.
Il dato che colpisce e rattrista è quello ricavato da una ricerca svolta su tutto il territorio degli Stati Uniti, che stima che la percentuale delle persone LGBT, sul totale dei giovani senza casa, raggiunge anche il 45%.
Ho trovato particolarmente sconvolgente l’ipotesi di Tim Sweeney, attivista gay che lavora presso il Center for American Progress, per spiegare il fenomeno: a suo avviso, il fatto di vivere in Stati a legislazione avanzata che riconoscono il matrimonio fra persone dello stesso sesso, spingerebbe i giovanissimi ad anticipare l’età del coming out in famiglia. Se prima i ragazzi si dichiaravano quando andavano al college e avevano l’età per difendersi da famiglie ostili armate di Bibbia, ora escono allo scoperto nella prima adolescenza, finendo col vivere in strada se le famiglie non accettano.
Non sarà questa una conseguenza determinata anche dalle scelte dei movimenti per i diritti LGBT, che fanno del matrimonio l’obiettivo primario di tutte le rivendicazioni, spesso dimenticando che altrettanto importante sarebbe dare visibilità all’omotransfobia come fenomeno nonché maggior tempo e rilievo alla ricerca di strumenti culturali, sociali e politici utili a debellarla?

I miei auspici per il 2014

Per l’anno che ci attende ho diversi (utopici?) auspici.

Spero che la transfobia e l’omofobia interiorizzata, spettri ancora troppo presenti nella nostra comunità, se ne vadano finalmente in soffitta, di non dover più incontrare persone di nemmeno vent’anni che si vergognano come ladri del loro essere trans*, lesbiche, gay, bisessuali, ben nascoste e già vittime del peggiore conformismo.

Spero che questo sia l’anno dei “coming out” di massa, della visibilità e dell’orgoglio LGBT*. Spero che molte persone vincano la paura e si dichiarino, perchè non c’è cosa più bella e liberatoria del potersi mostrare alla luce del sole, portando la tua differenza con dignità e orgoglio, nella vita vera. Questa sarebbe la chiave di volta del cambiamento culturale che spesso invochiamo.

Spero che il 2014 veda l’affermarsi del principio di laicità dello stato,  che la gente finalmente si svegli, e che l’operazione di restlyling di Bergoglio vada a farsi benedire.

Spero che certi principi borghesi concepiti unicamente al mantenimento dello status quo, che spesso finiscono col dividerci, vengano finalmente smascherati. Non è vero che “siamo tutti sulla stessa barca”, e che il “noi” in contrapposizione al “loro”, non esiste. Esiste, eccome!
Il maschio-bianco-eterosessuale ha diritti che io posso solo sognarmi, da una parte c’è lui e dall’altra ci sono io, punto.
Lo stesso dicasi per la dicotomia ricco/povero, lavoratore dipendente/datore di lavoro, bianco/nero.
In questo nostro paese ci sono privilegiati che lo sono sempre di più, e povera gente che arranca con sempre maggiori difficoltà, e questi ultimi devono incazzarsi con i primi, e lottare.

Il mio più sentito e affettuoso augurio per questo 2014 va quindi a chi lotta ogni giorno. Che sia un anno di diritti conquistati per noi tutt*, ora e sempre nello spirito di Stonewall!