Butch/femme Italia

Trovate il gruppo a questo link: Butch Femme Italia
Questo è un gruppo per tutte le lesbiche che si rispecchiano nella dualità Butch e Femme.
Per ‘butch’ si intende tradizionalmente una lesbica che presenta atteggiamenti e abbigliamento definiti maschili dalla cultura dominante e dal senso comune.
La lesbica ‘femme’ è invece conforme all’estetica femminile.
Sono benvenute in questo gruppo anche donne transgenere lesbiche e persone di genere non conforme (genderqueer, genderfluid).
Se tu non ti identifichi come Butch o Femme, o ti consideri oltre e al di sopra di queste etichette, questo NON è il gruppo per te!
Se ritieni che i generi siano soltanto due, questo gruppo NON è per te!
Noi chiediamo e ci aspettiamo rispetto nei confronti delle componenti del gruppo e della loro libertà di scegliere per se stesse la definizione che preferiscono e che più le rispecchia.
Questo gruppo non è stato creato allo scopo di dibattere le etichette Butch/Femme, esistono moltissimi altri gruppi e spazi di confronto nei quali è possibile farlo.
Quella del rispetto delle altre componenti è l’unica regola che chiediamo di osservare, ricordando che il buon senso è alla base di ogni sana interazione fra persone.

Auguriamo a tutte una buona permanenza in Butch Femme Italia.

Le amministratrici

Il canone eteroimitativo, l’orgoglio e la riconoscibilità LGBT*

Articolo pubblicato sul primo numero della rivista di cultura LGBT* ” Il Simposio” 

Non diresti mai che è gay!”, “Non ha certo l’aspetto della lesbica“, “Non avrei mai detto che è trans!”.

Queste affermazioni sono piuttosto ricorrenti quando si parla di gay, lesbiche e trans. Normalmente chi le pronuncia intende esprimersi positivamente sulla persona a cui si riferisce, volendo fare un apprezzamento, ed affermando, il più delle volte in modo inconsapevole, che:

Lui/lei è gay/lesbica/trans, ma questo non è problema, perché non si vede”.

Il discrimine fra l’essere persone LGBT* “in” o “out” starebbe dunque oggi nella visibilità, nella riconoscibilità per la strada, e le nuove generazioni LGBT*, i giovanissimi, introiettano questo canone estetico e comportamentale, che potremmo definire “eteroimitativo” o di “eterosomiglianza”.  Sarebbe dunque “in” il gay che si rende indistinguibile da un uomo eterosessuale grazie ad un atteggiamento virile,  o la lesbica abbastanza femminile da poter sembrare una donna eterosessuale. Questo dogma regola peraltro anche il grado di accettabilità sociale delle persone transgender, imponendo il “passing“:  le donne trans sono infatti “in” se ‘passano’ per donne genetiche (possibilmente belle, eterosessuali, sorridenti, e con la taglia 42),  e gli uomini trans se ‘passano’ per maschi genetici. Il percorso di transizione sarebbe dunque riuscito quando  cancella quelle caratteristiche che rendono la persona trans* riconoscibile (“Però, è uscit* bene!”). Il modello estetico e comportamentale che va oggi per la maggiore fra le giovani persone T* è quindi quello volto al raggiungimernto della modalità “stealth”, termine mutuato dal linguaggio militare che identifica gli aerei invisibili ai radar, e ora anche le persona transgender che, non dichiarandosi, si mimetizzano nella società.

Il canone eteroimitativo condiziona anche la subcultura LGBT*, rendendo “out” le lesbiche maschili e/o butch, i gay femminili, le trans e i trans riconoscibili in quanti tali. Costoro, i ‘trasgressori di genere’, oltre ad essere i bersagli più facili nella vita di tutti i giorni per la loro immediata riconoscibilità, subendo in misura maggiore il bullismo a scuola, il mobbing nel lavoro, una probabilità maggiore di subire aggressioni e molestie verbali per la strada, sono spesso marginalizzati anche all’interno della comunità LGBT*, colpevoli di non aver adeguato la loro apparenza ai dettami di una legge non scritta che ci vorrebbe tutti uguali agli eterosessuali.

I trasgressori di genere finiscono così con l’introiettare un senso di disvalore generato sì dalla società eterosessista e genderista, ma anche tristemente riconfermato ed alimentato da una subcultura LGBT* che riproduce valori omotransfobici e figli del binarismo di genere.

Il canone di eterosomiglianza si fa peraltro sempre più incisivo man mano che la società civile apre alle nostre istanze, accettando un po’ di più quelli che fra noi sembrano ‘meno diversi’, e rafforzando il discrimine e la distanza fra LGBT* perbene da un lato e ‘cattive ragazze’ dall’altro.

Ma il nostro benessere e  la nostra qualità di vita non dovrebbero passare anche da un sano orgoglio per quelle peculiarità che ci rendono “divers*”, bell’aggettivo ormai soppresso dal lessico politically correct, rispetto al paradigma di genere e sessuale dominante? Quando uguaglianza nei diritti e pari opportunità sociali sono diventati sinonimo  di appiattimento, o peggio ancora, adeguamento delle nostre caratteristiche? Non dovremmo trasmettere la fierezza per le nostre differenze, anche e soprattutto quelle visibili, ai giovanissimi LGBT*, dando loro risorse e strumenti utili a riscattarsi da una cultura che è peraltro sempre più massificante e nemica delle differenze? Non dovremmo ricordare loro che ad essere maggiormente stigmatizzati nella nostra comunità sono proprio quelli che furono la punta di diamante di quel gruppo che, ormai più di quarant’anni fa, diede il via ai moti di Stonewall, e che la grande Sylvia Rivera non perdeva occasione per ricordare che “la scintilla della rivoluzione l’abbiamo cominciata noi checche, travestiti e puttane”?