Lavoratori, diseduchiamoci!

Sto tornando dalla manifestazione indetta per il 1 maggio a Milano per la Festa dei Lavoratori, e sono un po’ triste.
Ho visto una scarsa partecipazione, forse anche più ridotta rispetto a prima della pandemia.
Ho sentito dal palco parole e toni troppo educati rispetto a quello che dovrebbe essere il sentimento delle lavoratrici e dei lavoratori dopo due anni di cui soprattutto chi vive di lavoro ha fatto le spese (tanto per cambiare).
Che stanchezza tutta questa educazione e tutto questo contegno calati come una nebbia soporifera sui temi del lavoro.
Dov’è finita la rivendicazione a Milano?
Ho poi sentito la solita vuota retorica sulle donne e sui sanitari, a cui dovremmo esser tutti grati, e il solito “bla bla bla” (grazie a Greta Thunberg per averci regalato quest’espressione così vera e immediata).
Come ci siamo dettə tante volte, al posto della gratitudine, forse un aumento delle paghe e una diminuzione della precarietà e del gender gap sarebbero molto più graditi a coloro che si sono sentiti chiamare “eroi” durante la pandemia, tenendo botta. E invece.
E poi tutto questo utilizzo di termini inglesi che ascolto ai vari eventi che riguardano il tema del lavoro che sto cercando di seguire – francamente – un po’ mi urta.
Non faccio che pensare: “e quindi? E allora?”.
Credo – e oggi però voglio anche dirlo – che il dibattito sul lavoro, per ripartire davvero, abbia bisogno di tre ingredienti che da troppo tempo mancano: pragmatismo, sostanza e verità.

Esternalizzazioni dei dipendenti SEA – La lettera di una lavoratrice

Lettere come quella della signora Claudia mi fanno sentire molto piccola.

Un po’ perché, come le ho scritto, non deve ringraziarmi di nulla – i diritti dei lavoratori si difendono e per me è un dovere provarci – ma soprattutto perché essermi espressa criticamente contro le modalità con cui SEA ha deciso questa esternalizzazione insieme a pochi colleghi del Consiglio, purtroppo, non ha portato i risultati sperati.

Pubblico la sua lettera nella speranza che possa almeno servire a sensibilizzare le persone su temi – come quelli dei diritti sociali e del lavoro – sul cui dibattito cui sembra essersi posata una soporifera coltre.

I giornali non ne parlano, i post sui social sull’argomento non riscontrano alcun interesse e le piazze languono.

Speriamo di uscire presto da questo impasse.

Ancora la mia solidarietà ai lavoratori e alle famiglie, fa male non poter fare di più.

Grazie alla Consigliera Comunale Monica Romano che ha espresso con chiarezza la nostra triste realtà. Non sempre l’esternalizzazione è la cosa migliore da farsi. Nel nostro caso, per età media del reparto molto alta (52 anni), per la professionalità e le conoscenze sviluppate sul campo e per il fatto che non era un reparto assolutamente in perdita, sembra addirittura un autogoal quello di SEA e del Comune di Milano.

Grazie ancora per averci provato consigliera Romano. E grazie alla Sua logica e al Suo buon cuore. Con rispetto. Una dei 60 lavoratori che sono stati lasciati al loro destino (molto peggiore di quello che volutamente sia stato dipinto).

Claudia Liparulo

Ex dipendente Sea per 27 anni

Lavoratori SEA: l’esternalizzazione è sempre strategica?

Venerdì scorso, nel corso di una Commissione consigliare trigiunta (Controllo Enti Partecipati, Sviluppo economico e politiche del lavoro, Mobilità ambiente e verde) ho sostenuto, insieme ad altri consiglieri – Carlo Monguzzi, Alessandro Giungi, Rosario Pantaleo, Francesca Cucchiara, Daniele Nahum – le richieste dei lavoratori di rimandare l’invio delle comunicazioni di trasferimento del ramo di azienda per aprire un tavolo di lavoro con il Consiglio comunale e con i sindacati. La risposta alla nostra richiesta è stata negativa.

SEA, l’azienda partecipata del Comune di Milano che gestisce gli aeroporti di Linate e Malpensa, società al 54% di proprietà del Comune, sostiene che il confronto con i sindacati c’è già stato. Verrà quindi ceduto il reparto ICT, con lo strumento della cessione di ramo d’azienda, facendo uscire dall’azienda circa sessanta persone.

Come SEA ha giustificato l’esternalizzazione?

Secondo l’amministratore delegato di Sea Armando Brunini, la necessità di esternalizzare deriverebbe dal bisogno di “conseguire obiettivi di sostenibilità economica di lungo periodo” da parte dell’azienda. Una parte dei servizi ICT potrebbe quindi essere più efficacemente utilizzata dall’azienda se comprati da un’azienda esterna.

Sea, dunque, ha deciso di cedere queste attività (ora interne) a una società separata, con la condizione di un contratto di acquisto di servizi, da parte di Sea, della durata di nove anni.

Brunini ha cercato di rassicurare sulla tenuta occupazionale dichiarando che “nessuno perderà il posto di lavoro”, che comunque sarebbe garantito per almeno nove anni presso la nuova società.

La domanda che sorge spontanea

Se SEA, dopo la cessione del ramo di azienda, dovrà comunque acquistare gli stessi servizi dagli stessi lavoratori per nove anni, significa che di quei lavoratori c’è bisogno. Perché, dunque, esternalizzare, ben sapendo che le cessioni di ramo d’azienda sono sempre e comunque processi che comportano un peggioramento delle condizioni di lavoro e una precarizzazione dei posti di lavoro?

Il punto di vista dei sindacati

Angelo Piccirillo, segretario generale Filt-Cgil Milano, segnala che Sea, negli ultimi quindici anni, ha fatto uscire dal perimetro aziendale più di duemila persone. Questo ben prima della pandemia, passando però comunque attraverso accordi sindacali, che nel caso dei sessanta lavoratori dell’ICT sono stati in buona sostanza bypassati perché la crisi pandemica lo consente.

Secondo Giuseppe Ragusa, dell’Usb, la cessione attività non è giustificabile perché esse fanno parte core business.

L’esternalizzazione è sempre strategica?

Il fenomeno dell’esternalizzazione delle attività di impresa (outsourcing) ha conosciuto diverse ondate di popolarità come pratica strategica e organizzativa negli ultimi decenni.

Il relativo dibattito – ben lungi dall’essere esaurito – continua, anche alla luce della recente crisi economica conseguente alla pandemia. L’outsourcing può essere tanto un’efficace risposta strategica, quanto un errore da non commettere.

Essendo notorio che le cessioni di ramo d’azienda sono spesso dei processi che comportano un peggioramento delle condizioni di lavoro, è inevitabile chiedersi che senso abbia esternalizzare dei servizi e delle competenze per poi doverli acquistare da una società esterna.

Porsi questa domanda non è il sintomo di un posizionamento ideologico, ma di semplice buon senso. Non si condannano infatti le esternalizzazioni in sé e per sé, a prescindere da ogni dovuta considerazione, si tiene anzi in buon conto quella letteratura aziendale che dimostra come in molti casi le esternalizzazioni possono essere del tutto giustificate da cambiamenti strutturali e organizzativi dell’impresa derivanti da mutazioni permanenti dei contesti in cui le aziende operano.

Non è questo, tuttavia, il caso del sistema dei trasporti aerei, per i quali è prevista una ripresa del traffico ai livelli prepandemia per il 2024.

Anche per questo si sarebbe dovuto tenere in maggior conto le rappresentanze sindacali e le loro istanze, come richiesto da me e da altri colleghi in Consiglio.

Che cosa succede adesso?

I sindacati di base – Cub Trasporti, Flai Ts, Adk e Usb Lavoro Privato – hanno annunciato due scioperi di 24 ore dei lavoratori della Sea, la società di gestione degli scali di Linate e Malpensa, per giovedì 3 febbraio e venerdì 18 febbraio, per protestare contro la decisione della società di esternalizzare il comparto dei lavoratori del settore informatico.

Credo che la solidarietà ai 60 lavoratori e alle loro famiglie sia dovuta, così come il sostegno alle sigle sindacali che hanno proclamato i due scioperi.