La comunità transgender protesta contro la diva che interpreta un boss di Pittsburgh che cambia sesso. Trace Lysette: “Voi potete continuare a interpretare noi, ma noi non voi? Non solo ci rubate la nostra storia, ma vi date pacche sulle spalle e vincete trofei scimmiottando quello che abbiamo vissuto”.
Premetto che di Scarlett Johanssoon poco mi importa, così come di Holliwood e dintorni. Mi importa invece di dire – e a voce alta – che i vissuti transgender vengono ormai costantemente cannibalizzati da persone non transgender (o cisgender) per ottenere visibilità, palchi, finanziamenti e riconoscimenti. Questo è un fatto. Perché la “T” sta diventando un business e fa gola a molti, negli Stati Uniti come in Italia, e a vari livelli: dal mondo dello spettacolo, a quello della moda, fino ad arrivare ai servizi offerti alle persone T* per i percorsi di transizione che – ricordiamolo – sono molto ben renumerati e non offerti per beneficenza o filantropìa.
Credo poi sia importante evidenziare il fenomeno del cisplaining, parola da me liberamente ricavata dalla suggestione del termine mansplaining. Con mansplaining si indica, da qualche anno, l’atteggiamento paternalistico di alcuni uomini quando spiegano a una donna qualcosa di ovvio, oppure qualcosa di cui lei è più esperta di lui. Potremmo prendere l’esempio dell’uomo geometra che pensa di poter spiegare alla donna architetto la materia per la quale lei ha conseguito un titolo accademico perché comunque convinto di saperne più di lei. Un atteggiamento analogo viene adottato da tutte quelle persone cisgender che pretendono di spiegare a noi persone T* cosa significa essere transgender e vivere come transgender, il cisplainning, appunto.
Abbastanza ridicolo, non è vero? Eppure accade, e di continuo! E se noi obiettiamo e facciamo presente che nessuno deve spiegarci chi siamo e come viviamo – tantomeno una persona che transgender non è – sono guai! In tempo record parte il disco rotto del “siamo tutti persone”, “basta con questo «noi» e «voi»”, passando per il paternlistico “dovreste essere grati che si parli di voi”, fino ad approdare al lettino dell’analista che ci spiega che “transgender lo siamo tutti” o alle deliranti (ma molto frequenti) risposte “fate razzismo al contrario!” e “vi ghettizzate”.