Transgender is beautiful! Estratto da “Gender (R)Evolution”

“Nel corso della mia vita ho sentito molte persone transessuali e transgender dire: «Se solo potessi, rinascerei nel corpo giusto».
Comprendo queste sorelle e fratelli che – sia chiaro – hanno tutto il mio affetto e rispetto.
Tuttavia io, nell’andare avanti, maturo sempre più la consapevolezza che, se anche avessi quella possibilità,
non cambierei un solo giorno della mia storia e non rinuncerei a un momento di quelli che ho vissuto,
per quanto possano essere stati duri e, a volte, al limite della sopportazione.
Sceglierei nuovamente la vita che ho vissuto fino ad oggi.
Qualcuno penserà che sono una masochista, e lo posso comprendere. Del resto, soprattutto a causa
della #narrazione #mainstream delle nostre vite fatta nei salotti televisivi negli ultimi anni – dove la realtà viene reinterpretata e semplificata a colpi di «prima e dopo», suggestioni di collodiana memoria («Ora sono una donna vera!»), uso e abuso del verbo «diventare» e l’immancabile spruzzatina di pietismo cristiano ad accompagnare il caso umano del giorno – molti pensano al nostro cammino come a una sorta di via crucis senza luce, un’esperienza quasi mistica e vagamente espiatoria, ed è buffo come i richiami al sacro spesso si sprechino nelle narrazioni che altri fanno di noi, in tempi di caccia alle streghe e agli ideologi del #gender.

Oggi considero la condizione #transgender come un dono, e non posso che ringraziare le mie compagne
di viaggio che mi hanno portato a questa consapevolezza, spingendomi a rievocare quegli anni Novanta
in cui per me il viaggio chiamato transizione cominciava.
Un viaggio che ha riguardato il mio corpo solo in minima parte, perché la parte più importante
è quella avvenuta nella testa, nel cuore e attorno a me.
Avere una vita e un punto di vista divergente mi ha portato a vedere e vivere esperienze davvero speciali
e alla portata di pochi, sperimentando l’ebbrezza e la gioia di vedere oltre, essendone felice.
Molti di noi, nell’universo della non conformità, hanno visto nel dualismo dei generi «uomo e donna»
una convenzione sociale da superare e rivendicato l’esistenza di altre possibilità, vissuti, espressioni,
corpi. Il nostro vissuto ha connotato il nostro essere e non può essere buttato via, non vogliamo liberarci di
un’esperienza che ci rende fieri e orgogliosi.
Oggi posso dire che mai rinuncerei al mio corpo – un corpo autodeterminato e in fuga dalla rigidità della
Norma che più volte ho citato in questo mio memoir – per quanto trovare il mio equilibrio possa essere
stato faticoso e abbia richiesto anni e sangue.
[…] Il racconto della bellezza dei nostri cammini, della nostra felicità e dell’orgoglio nell’essere ciò che siamo
– e non di ciò che dovremmo essere e a cui dovremmo tendere – fatica a trovare spazio nell’immaginario
collettivo.
Iris Marion #Young definì «#imperialismo #culturale» quella forma di oppressione sulla quale già i movimenti delle donne e dei neri hanno posto l’attenzione, che «comporta l’universalizzazione dell’esperienza e della cultura di un gruppo dominante, le quali vengono così accreditate come la norma». I gruppi minoritari sono così vittime di stereotipi che li inchiodano al corpo e a caratteristiche fisiche e i loro
componenti finiscono così per essere ingabbiati nel proprio corpo, corpo che il discorso dominante concettualizza negativamente. Nel caso delle persone transgender tale corporeità consiste, ad esempio, in
una genitalità differente, così come anche in una corporeità e immagine esteticamente «altra» determinata
da quei connotati fisici che cultura dominante definisce «grotteschi», «ambigui», «inquietanti» o semplicemente «brutti».

Ecco spiegato perché occorre coraggio per arrivare a rivendicare pubblicamente e al di fuori delle oasi associative e di movimento che Transgender #Is #Beautiful!», come in anni recenti ha fatto l’attrice e attivista Laverne Cox.
Liberare, nutrire ed esprimere l’orgoglio e la fierezza per i nostri corpi liberati e per i nostri vissuti
differenti, è stata, è – e sarà! – un’azione culturale e politica potente e sovversiva della Norma, e richiederà
determinazione, coraggio e la volontà di essere comunità.
Giusto insomma è stato ed è rivendicare l’uguaglianza, ma non dimentichiamo di difendere la
nostra differenza: i nostri sono corpi di cui rivendichiamo la diversità e il loro possibile mutamento può
e deve continuare ad essere un adeguamento al nostro personale e intimo sentire, non ad aspettative esterne a noi.”

Estratto dal libro Gender R- Evolution di Monica Romano per Ugo Mursia Editore, 2017.

Imparando l’amore di sè

Sono alta 1,77 cm.

Un’altezza significativa per una donna, mi hanno fatto notare molte persone, rimarcando il fatto che le mie caratteristiche fisiche non rientrano nella norma femminile prevalente.

Altri mi hanno fatto notare che ho le spalle larghe, qualcuno che le mie mani “rivelano qualcosa”.

Per molti anni mi sono vergognata della mia altezza, vivendola come un disvalore, quasi come un handicap. Ho nascosto le mie mani, pensando che questo potesse rendermi più facili certi momenti dello stare in mezzo agli altri. Ho provato amarezza per il mio seno piccolino. Ho sofferto per come l’ambiente rispondeva ad una fisicità non conforme, ho pianto spesso perché non mi sentivo abbastanza bella, donna, perfetta.

È stato faticosissimo imparare ad amarmi, perché in questa moderna società occidentale è difficile mettersi in salvo dalla pervasività di stereotipi che ti rimandano continuamente che non sei giusta e che non rientri nei canoni, soprattutto se sei una donna.

Ho pensato, studiato, messo in discussione quelle convinzioni introiettate e imposte. Ho incontrato, lungo il cammino, persone che mi hanno amato non malgrado, ma proprio per le mie caratteristiche.

Oggi, quando butto indietro la testa e vedo il mio pomo d’adamo (di Eva, come ha detto qualcuna? 🙂), appena accennato, io sorrido, perché è una parte di me e mi fa tanta simpatia.
Guardo le mie spalle e valorizzo la loro ampiezza.
Oggi io porto i tacchi, perché li adoro, cosa che per anni non mi sono permessa di fare.
Ho scoperto, col tempo, di adorare il mio piccolo seno e che mai lo sostituirei con una quarta misura.

Osservo la mia #androginìa e la amo profondamente di tutto l’amore che questo mondo #eteronormativo e malato di #binarismo gli ha fatto mancare. Perché io sono una donna #transgender, sono anche il mio corpo e tutto il suo tortuoso cammino, e scelgo di amarmi e di essere fiera di quelle caratteristiche che dicono chi sono.

Oggi mi sento bella così come sono e questa è stata una delle conquiste più importanti sul piano privato, come su quello politico.