In uscita il nuovo numero della rivista di cultura LGBT “Il Simposio”: “Je suis”

E’ uscito “Je suis”, il nuovo numero de Il Simposio, la rivista di cultura LGBT.
Maggiori informazioni a questo link:
http://www.ilsimposio.tk/je-suis.html.

Indice:

“Concita Wurst” di Monica Romano

“Lo Stato deve essere neutrale” di Alessandro Rizzo

“Je suis” di Nathan Bonnì

“Fanatismi e totalitarismi” di Enrico Proserpio

“L’invenzione della famiglia “naturale” di Enrico Proserpio

“Il dio carnale di Pasolini” di Danilo Ruocco

“Fotografi a New York negli Anni ’70” di Alessandro Rizzo

“Persone GLBT e disturbi dell’alimentazione e della personalità” di Leonardo Meda

Il convegno omofobo a difesa della famiglia naturale a Milano e la nostra protesta

http://https://www.youtube.com/watch?v=t_B6Cka0RcY&app=desktop

Faccio fieramente parte di quei “quattro pirla” (così il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni ci ha definito) che sabato hanno presidiato e manifestato contro chi vorrebbe curare le persone LGBT, contro coloro che ritengono di poter entrare nelle nostre teste, nelle nostre vite, e “correggerci”.
Tutto questo è spaventoso, e riporta a pagine e momenti molto bui della nostra Storia.
Ma la nostra Storia è anche quella di un movimento LGBT italiano che già nel lontano 1972, a Sanremo, con il grande Mario Mieli in prima linea, contestava quei “luminari” che volevano curare l’omosessualità con “terapie di avversione”.

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Sarà la nostra luce a vincere l’oscurantismo di chi vorrebbe ricacciarci nella patologia, saranno i nostri colori, i nostri bellissimi arcobaleni, a vincere.
Maroni, tu e la tua Lega siete feccia e rappresentate il peggio dell’Italia.
Spero con tutta me stessa di vedervi presto sprofondare politicamente e umanamente.


#‎quattropirlatuasorella‬
‪#‎quattropirla‬
‪#‎4pirlatuasorella‬

Il senso del Pride fra campanilismi, bagarre e un po’ di nostalgia

Articolo pubblicato sul secondo numero della rivista  di cultura LGBT “Il Simposio“.

Dal Pride Nazionale alla nazione dei Pride”.

Con questo titolo indovinato ed efficace Repubblica.it ha annunciato la fine dei Pride nazionali itineranti, apertasi ufficialmente a Roma nel 1994, e l’inizio di una stagione nuova, fatta di manifestazioni locali unite da una comune piattaforma rivendicativa, l’“Onda Pride”. Le maggiori associazioni LGBT sono arrivate a questa decisione in modo condiviso, nel corso dell’assemblea convocata dal Coordinamento Torino Pride l’8 e il 9 febbraio scorsi.

Tredici le mobilitazioni in calendario quest’anno: Roma, Venezia, Bologna, Catania, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Torino, Venezia, Alghero, Lecce e Reggio Calabria.

Nel movimento molti hanno accolto con favore un superamento del Pride nazionale che, di fatto, andrà a sanare le annose diatribe fra città, relative associazioni e circuiti di locali e servizi rivolti alla cittadinanza LGBT. Fino all’anno scorso, infatti, la scelta della città che avrebbe ospitato la manifestazione nazionale operata di anno in anno dalle maggiori associazioni, e soprattutto le modalità e le motivazioni che ne erano alla base, hanno spesso dato adito a liti e polemiche fra le soggettività che compongono il nostro eterogeneo e variegato movimento. Del resto, riuscire ad accaparrarsi un Pride nazionale in grado di mobilitare migliaia di persone offriva, oltre a prestigio, visibilità e un maggiore appeal politico, un ritorno economico per tutto l’“indotto” LGBT locale. Vecchie bagarre della quali probabilmente nessuno sentirà la mancanza, sostengono i fautori dell’“Onda”, mentre, avvicinandoci al resto d’Europa, ci lasciamo alle spalle un’idea di Pride nazionale tutta italiana.

Auspicando la dovuta attenzione e il sostegno del movimento tutto per Alghero, Lecce e Reggio Calabria, città che ospiteranno il loro primo Pride e quindi prossime al gioioso battesimo LGBT, do uno sguardo al passato. C’è un’idea pioneristica e simbolicamente molto forte di Pride, che il movimento ha provato a mettere in atto ormai diversi anni fa che, confesso, non ho mai smesso di rimpiangere: quella della manifestazione nazionale portata in realtà non metropolitane o in provincia. Alla base di questa visione un principio più che condivisibile, secondo il quale le realtà locali storicamente più forti a livello di presenza di associazioni e di militanti sul territorio come Roma, Milano o Bologna, avrebbero aiutato le province, più deboli in termini numerici, spesso in fieri nella costituzione di una rete locale LGBT e quindi alle prese con tutti i problemi che questo tipo di lavoro comporta in territori di confine (in primis nei rapporti con le istituzioni locali), lasciando a queste ultime la contesa mobilitazione nazionale.

Ricordo quando nel 2002 marciammo a Padova. Allora ero un’attivista di Crisalide Azione Trans. In quell’occasione vidi le mie amiche e compagne dell’associazione, abituate a una Milano ormai abbondantemente “vaccinata” dai Pride, molto turbate dall’accoglienza che la città ci aveva riservato. Una di loro pronunciò una frase, fra il solenne e l’ironico, che ancora oggi citiamo con il sorriso sulle labbra: «Al nostro passaggio il tempo sembra fermarsi». Era proprio così. Centinaia di persone che, vedendoci arrivare, restavano attonite, in silenzio e sulla difensiva, ma allo stesso tempo troppo curiose per non scrutare le trans scese in strada a manifestare da tante parti d’Italia. Fu in quell’occasione che molt* di noi compresero quanto fosse più importante manifestare ed essere visibili proprio là, dove era più difficile.

Nel 2004 partecipammo al Grosseto Pride, del quale ho un ricordo meraviglioso. L’accoglienza fu molto diversa da quella riservataci a Padova due anni prima. Ricordo molte signore che ci applaudirono e salutarono dai balconi, con i mariti un po’ in disparte ma comunque sorridenti, mamme con i bimbi nel passeggino che vollero fare un pezzo di corteo insieme a noi, io e un’amica incredule di fronte a un papà che cercava di spiegare alla figlia sulle sue spalle il significato del nostro striscione, l’euforia degli attivisti e dei ragazzi LGBT grossetani per quel loro Pride. Ci furono una gioia attorno a noi per la nostra presenza, e un’accoglienza che ci ripagarono per le tante ore di macchina e per il disagio che il nostro viaggio aveva comportato (era una giornata caldissima). Quando negli anni successivi mi è capitato di parlare del Pride di Grosseto con persone che vi avevano preso parte, ho sempre avuto feedback molto positivi, segno che quella manifestazione è rimasta nel cuore di molti.

Malgrado questo, all’epoca l’evento fu sostanzialmente ignorato dai maggiori media italiani, che lo relegarono alle cronache locali. Inoltre, avendo mobilitato solo ventimila persone, cifra considerata non entusiasmante dagli organizzatori, fu considerato un insuccesso. Per queste ragioni il Grosseto Pride segnò la fine dell’esperimento dei Pride itineranti in città non metropolitane, durato appena tre edizioni: nel 2002 a Padova, nel 2003 a Bari e nel 2004 a Grosseto.

Curiosa di vedere quale sarà l’impatto dell’“Onda” su istituzioni, media e cittadinanze dei luoghi interessati, mi faccio qualche domanda fra passato e futuro imminente.

Se negli stessi giorni avessimo avuto i nostri bei Pride locali nella rassicurante Milano, ci saremmo mai ritrovate vis à vis con i benpensanti padovani in quell’ormai lontano 2002? Avremmo marciato con quelle mamme a Grosseto nel 2004? Avremmo avuto occasione e modo di confrontarci con i militanti e le persone LGBT* di quei luoghi, arricchendoci vicendevolmente dal punto di vista politico ma soprattutto umano?

Siamo davvero sicuri che l’Onda Pride, venduta come meno verticistica e più europea e orizzontale, non finirà col portare a manifestazioni di serie A nelle grandi metropoli, e di serie B nelle province, proprio dove invece ci sarebbe maggiore bisogno di mobilitazioni il più possibile partecipate?

Era davvero necessario arrivare all’“Onda”, quando nei fatti l’esistenza di un Pride nazionale non ha mai impedito neanche in passato l’organizzazione di Pride locali (tutt’al più le associazioni locali erano invitate a evitare sovrapposizioni di date, non organizzando mobilitazioni nello stesso giorno del Pride Nazionale per favorire la partecipazione a quest’ultimo)?

Forse non tutta l’esperienza dei Pride nazionali è da buttare via, o da “rottamare”. Forse il movimento tutto, a partire da Arcigay nazionale, dovrebbe fare un passo indietro, e riprovare a mettere fine al monopolio delle grandi città sui Pride e alla guerra d’interessi che l’ha accompagnata negli ultimi anni, facendo scelte coraggiose.

Bigliografia

  • “Grosseto Pride 2004”, Saggio di Giovanni Dall’Orto, Cultura Gay.it

  • “Gay, al via l’onda Pride in tredici città”, Repubblica.it

“Ci chiamano diversi”

Ho finalmente avuto modo di vedere le versione definitiva di “Ci chiamano diversi”, film documentario sul mondo LGBT italiano realizzato da Enzo Monaco al quale ho preso parte anch’io, e non posso che suggerire la visione di questo lavoro di grande impatto ed interesse, ora disponibile anche in versione integrale in streaming, con l’augurio che raggiunga una vasta platea di persone.

Per tutte le informazioni relative al film, visitate il sito:

http://www.cichiamanodiversi.it

Promo:

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=YfwhJD_E3bk]

Interviste a me ed ad Antonia Monopoli:

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=9uW1T3GiX00]

La versione integrale del film:

L’America LGBT “homeless”

Ho letto l’inchiesta che il Venerdì di Repubblica ha dedicato ai giovanissimi LGBT “homeless”, ovvero senza casa, di San Francisco.
Il dato che colpisce e rattrista è quello ricavato da una ricerca svolta su tutto il territorio degli Stati Uniti, che stima che la percentuale delle persone LGBT, sul totale dei giovani senza casa, raggiunge anche il 45%.
Ho trovato particolarmente sconvolgente l’ipotesi di Tim Sweeney, attivista gay che lavora presso il Center for American Progress, per spiegare il fenomeno: a suo avviso, il fatto di vivere in Stati a legislazione avanzata che riconoscono il matrimonio fra persone dello stesso sesso, spingerebbe i giovanissimi ad anticipare l’età del coming out in famiglia. Se prima i ragazzi si dichiaravano quando andavano al college e avevano l’età per difendersi da famiglie ostili armate di Bibbia, ora escono allo scoperto nella prima adolescenza, finendo col vivere in strada se le famiglie non accettano.
Non sarà questa una conseguenza determinata anche dalle scelte dei movimenti per i diritti LGBT, che fanno del matrimonio l’obiettivo primario di tutte le rivendicazioni, spesso dimenticando che altrettanto importante sarebbe dare visibilità all’omotransfobia come fenomeno nonché maggior tempo e rilievo alla ricerca di strumenti culturali, sociali e politici utili a debellarla?