Age diversity e reverse mentoring

Le persone in età avanzata possono avere dei vantaggi rispetto ai più giovani a livello di velocità dei processi mentali? Secondo Valentina Chizzola della Fondazione Franco De Marchi – che ci ha parlato di ageing nell’ambito del Master in Diversity Management e Gender Equality della Fondazione Brodolini – sì.

Ci sarebbero competenze – le cosidette competenze dell’età – che i più anziani sviluppano nel tempo, come la maggiore velocità nel prendere le decisioni. Infatti, in età matura, si hanno a disposizione più modelli cognitivi a cui attingere che permettono di saltare molti passaggi logici.

L’invecchiamento nel lavoro e il reverse mentoring

Il fenomeno dell’invecchiamento deve essere trattato come un processo e non come una condizione. Un buona pratica per arrivare a questo obiettivo è quella del reverse mentoring, che prevede che le diverse generazioni presenti in azienda (i Boomer nati dal 1946 al 1965, la Generazione X dei nati fra il 1966 e il 1980, i Millennial fra il 1981 e il 1995 e la I-Generation o Generazione delle Reti nata fra il 1996 e il 2015) interagiscano in specifiche sessioni e imparino l’una dall’altra. In questo modo le competenze digitali dei junior incontrano quelle predigitali dei senior. Il primo a usare il reverse mentoring è stato Jack Welch di General Electric.

Un futuro senza date di nascita nei curricula?

L’ageism – termine coniato nel 1969 dal gerontologo statunitense Robert Neil Butler – è il termine che indica la discriminazione rivolta ai senior nel mondo del lavoro.

La nuova frontiera sperimentata dagli uffici HR del Comune di Helsinki per contrastare le discriminazioni nel processo di recruitment è quella di un processo di selezione totalmente anonimo: niente età, sesso, foto, soltanto la storia professionale del candidato. Che, dati alla mano, pare aver portato risultati migliori tanto per i candidati quanto per le aziende. In questo modo si aggirano i bias cognitivi di recruiter e selezionatori e al colloquio arrivano i profili più qualificati.

Ageismo e abilismo in un’ottica intersezionale

“Se non moriremo all’improvviso, tutti saremo disabili un giorno”

Mara Pieri si occupa di studi sulle disabilità, queer e sulle sessualità. Nell’ambito del Master in Diversity Inclusion e Gender Equality della Fondazione Brodolini, ci ha spiegato come noi tutti siamo allo stesso tempo immersi in una rete sia di oppressioni che di privilegi.

Abilismo e ageismo ci riguardano tutt*

Il destino delle persone anziane e delle persone disabili tende ad essere collegato, perché l’invecchiamento è disabilizzante.

L’ageismo è un sistema di oppressione basato sull’età, che riguarda tutte le età, perché ogni età ha le sue aspettative socio-culturali. Esso può connotare l’esperienza tanto di persone anziane quanto di persone giovani.

L’abilismo è un sistema di oppressione basato sulla discriminazione delle persone non abili. L’abilità e la disabilità sono culturalmente e socialmente definite.

L’ideologia del benessere

Malattia, invecchiamento e disabilità sono accadimenti della vita sui quali possiamo avere un controllo per farli diventare “storie di successo”. Esiste un vero e proprio imperativo morale che ci dice che dobbiamo impegnarci a cancellare e limitare i danni dell’invecchiamento e della disabilità. E se non lo facciamo, incappiamo nella stigmatizzazione.

L’ideologia del benessere è alla base dell’industria del wellness. Addirittura esiste un ramo della gerontologia, il successful ageing, che si occupa di invecchiamento attivo e ci dice come invecchiare in buona salute, come partecipare appieno alla vita della collettività e sentirci più realizzati, e come essere più autonomi nel quotidiano e più impegnati nella società anche se siamo anziani, perché “a qualsiasi età è possibile svolgere un ruolo attivo e beneficiare di una migliore qualità di vita”.