Quando una donna trans muore

Quando una di noi – una donna trans – muore, si attiva sempre un giro di telefonate, almeno fra quelle che io conosco.
Le amiche, certo, ma anche quelle che non senti più da una vita, persino le nemiche giurate del momento (ruotano, sapete?) seppelliscono l’ascia di guerra e ti telefonano. Poi tu telefoni a tua volta ad altre, magari recuperando vecchie agendine cartacee, e si attiva un circolo di comunicazioni ed esternazioni che resta intatto per qualche giorno.

“Hai saputo?” “Ma come è successo?” “Non può essere” “Non è possibile” “Non ci credo” “Perché?” “Ma proprio lei… ?” “Lo sai cosa mi aveva detto?” “Chiamiamo i genitori?” “E ora?” “Quando succederà a me, per favore, vigilate e dite che… ”

Io desidero dire che questa cosa che ci telefoniamo fra noi quando una se ne va la trovo bella, perché è il nostro senso di comunità e sorellanza che emerge a dispetto di tutto, persino a dispetto di noi e della nostra litigiosità interna.

Alle giovani donne trans vorrei soltanto dire di non perderla questa cosa, di non smarrire questo spirito, perché è prezioso.
Non svendete mai il senso di appartenenza a una piccola – ma vostra – comunità, magari per sentirvi più normali o perché oggi va di moda dire che essere trans è come essere biondi o castani, una “caratteristica” (e se parli di “sorelle”, ti guardano straniti).

Non perdetevi, restate vicine, restate in contatto perché è uno specchio senza il quale perdereste voi stesse.