BINARISM IS FOR COMPUTERS!

“Guardando al futuro, senza ovviamente mai dimenticare
il cammino che ci ha portato fin qui, sogno
un mondo nel quale la naturale variabilità di genere
dell’essere umano smetta di essere oppressa dalle
aspettative legate ai ruoli di genere, dove il sesso della
persona sia un dato del tutto irrilevante che non
abbia alcun riscontro a livello legale e burocratico,
nel quale non conti se siamo «maschi» o «femmine»,
ma quali sono le nostre capacità, i nostri valori, attitudini,
preferenze, sentimenti, sogni.
Le battaglie delle persone transgender hanno portata
universale e possono migliorare la vita di tutt*,
perché le rigide aspettative di genere del nostro sistema
culturale sono gabbie che imprigionano tutt*.
Per questo i cattolici integralisti hanno paura di noi, e
non a caso hanno inventato la fantomatica «#teoria del
#gender», facendo esplicito riferimento al genere e
non all’orientamento sessuale.
[…] Noi persone #transgender, come già evidenziato da
Nardacchione e Rothblatt fra la fine degli anni Novanta
e i primi Duemila, altro non siamo che quegli
individui più mortificati dal binarismo nell’espressione
della nostra identità, i meno aderenti allo stereotipo
imposto dall’appartenenza a un sesso biologico,
coloro che hanno operato la scelta più clamorosa e visibile: il cambio di genere. Ma noi siamo soltanto la
punta di un iceberg, essendo il #binarismo di genere
un forte limite per tutti gli individui, di qualsiasi
orientamento sessuale e di genere.
Patologica non è la #variabilità in sé, ma il binarismo
culturale.
[…] Secondo Rothblatt, la fine dell’apartheid sessuale
porterà alla libertà di genere.
È necessario superare anche la riduttiva e rigida visione
binaria degli orientamenti affettivi – che tiene
conto solo e soltanto del sesso genetico o della conformazione dei genitali delle persone – ignorando tutte le
sfumature identitarie e legittimando solo due possibilità:
#omosessualità ed #eterosessualità.
Una dualità che finisce col marginalizzare chi, persino
all’interno della stessa comunità #LGBT, è portatore
di un’espressione di genere #non #binaria, come le
lesbiche butch o i ragazzi femminili, così come le persone
che si dichiarano bisessuali o pansessuali, colpevoli
di non stare da una parte o dall’altra. Infatti, il discrimine
fra l’essere persone LGBT* «in» o «out» è
costruito a partire dalla visibilità e dalla riconoscibilità
per la strada, e le nuove generazioni LGBT*, i
giovanissimi, introiettano questo canone estetico e
comportamentale.
Il #gay che si rende indistinguibile da un uomo eterosessuale
grazie a un atteggiamento virile, la lesbica
abbastanza femminile da poter sembrare una donna
eterosessuale, la donna transgender indistinguibile da
una donna cisgender (e, possibilmente bella, eterosessuale,
sorridente, e con la taglia 42): sono questi i modelli
che nella nostra comunità hanno preso piede.
I trasgressori di genere finiscono così con l’introiettare
un senso di disvalore generato sì dalla società
eterosessista e genderista, ma anche tristemente
riconfermato e alimentato da una subcultura LGBT*
che riproduce valori omotransfobici e figli del binarismo
di genere. Questo canone di eterosomiglianza si
fa peraltro sempre più incisivo man mano che la società
civile apre alle nostre istanze, accettando un po’
di più quelli che fra noi sembrano «meno diversi», e
rafforzando il discrimine e la distanza fra LGBT*
perbene da un lato, e «cattive ragazze», dall’altro.”

Estratto da @Gender R- Evolution di Monica J. Romano per Ugo Mursia Editore, 2017.