L'Europa che vogliamo

L'Europa del lavoro

L’Europa riparta dai Diritti, dal sostegno economico e da servizi più efficienti a imprese e lavoratori.

Laureata in Scienze Politiche con specializzazione in Relazioni Industriali e Gestione delle Risorse Umane, mi occupo di risorse umane da ormai 15 anni. In passato ho supervisionato l’amministrazione del personale delle aziende clienti presso studi di consulenza del lavoro a Milano.
Oggi mi occupo di ricerca e selezione del personale in collaborazione con un’importante agenzia, in regime libero professionale. Come una funambola, mi sono sempre mossa nello spazio che collega le aziende ai lavoratori, e conosco bene le esigenze concrete sia di chi il lavoro lo offre, le aziende, sia di chi lo cerca, i lavoratori.

Ripartiamo dai diritti. L’Europa che vogliamo si fonda sul diritto al lavoro.

Normative, finanziamenti, formazione.

È su queste tre direttrici che si concretizzerà il mio impegno come Parlamentare Europea nella prossima legislatura.

Occorre un ampliamento e un’intensificazione delle direttive a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori, a partire da provvedimenti più vincolanti sul salario minimo, ora più che mai misura necessaria per contrastare il sempre più drammatico impoverimento di milioni di famiglie italiane.
L’attuale normativa (Direttiva (UE) 2022/2041) regolamenta con politiche più stringenti solo quei Paesi che già hanno introdotto il salario minimo, lasciando completamente liberi di agire in senso opposto invece quei Paesi, come l’Italia, dove il salario minimo non è mai stato introdotto. Io sono una forte sostenitrice del salario minimo, tanto da aver presentato una mozione, poi approvata, per il salario minimo alle lavoratrici e ai lavoratori delle cooperative che forniscono servizi al Comune di Milano.
Voglio impegnarmi per un’Europa capace di rendere il salario minimo un vincolo che coinvolge tutti gli Stati Europei, a partire proprio dall’Italia.

Voglio impegnarmi per un’Europa che sappia garantire pari opportunità lavorative e salariali alle donne e agli uomini, sviluppando politiche del lavoro ingenti per garantire la parità di genere: perché il lavoro delle donne non vale meno di quello degli uomini.

Voglio impegnarmi per un’Europa certamente capace di sviluppare programmi e fondi volti a promuovere la creazione di posti di lavoro, sostenere l'imprenditorialità e favorire l'inclusione sociale e lavorativa.

Voglio impegnarmi per un’Europa in grado di implementare programmi di formazione e riqualificazione professionale non solo per aiutare le lavoratrici e i lavoratori a sviluppare le competenze necessarie per adattarsi ai cambiamenti del mercato del lavoro, ma anche per garantire l’acquisizione di competenze tecniche per l’abilitazione a nuove professioni.
Ci sono troppe persone nel nostro Paese, l’Italia, che non trovano lavoro perché i titoli di studio acquisiti non sono più riconosciuti sufficienti dalle imprese a parità di impiego, quando vent’anni fa erano invece considerati più che sufficienti.
È necessario che l’Europa si occupi di allocare fondi per lo sviluppo e la formazione delle competenze necessarie a riqualificare queste risorse.

Voglio infine impegnarmi per un’Europa che introduca la settimana lavorativa corta. Sono numerosi studi in diversi Stati che evidenziano come i lavoratori che usufruiscono della settimana corta siano molto più produttivi dei loro colleghi con orario a tempo pieno.
In Italia il numero di ore di lavoro settimanali ha continuato ad aumentare negli anni e non allo stesso ritmo dei salari: voglio impegnarmi per invertire questo trend, facendo aumentare la retribuzione oraria e riducendo il monte ore medio di ore lavorative in una settimana.

L’Europa delle donne

Di tutte le donne.

Quello dell’uguaglianza di genere è un tema che ho, da sempre, molto a cuore. Per questo ho conseguito il Master in Gender Equality e Diversity Managament della Fondazione Giacomo Brodolini a Roma. Nel 2019 ho avviato un mio piccolo studio come progetto start-up, e mi occupo di formazione presso aziende e organizzazioni sui temi della parità, delle diversità e dell’inclusione.

Quella sulla parità di genere sarà sicuramente, come d’altronde è sempre stata, una delle mie battaglie chiave in Europa.

La disparità di genere è un fenomeno che coinvolge tutti i Paesi europei, ma sul nostro incide particolarmente.

L’Italia presenta infatti il tasso di occupazione femminile più basso tra gli Stati dell’Unione Europea, con un 55% contro una media europea del 69,3%: una donna su due in Italia non ha un lavoro.
Sul lavoro insisto particolarmente, perché è proprio l’indipendenza economica la prima e fondamentale chiave di volta per l’indipendenza personale.
A questo numero già preoccupante in sé, dobbiamo aggiungere altri gap: in Italia le donne sono in media pagate il 43% in meno degli uomini a parità di impiego; spesso in seguito alla maternità sono costrette a lasciare il lavoro per occuparsi dei propri figli, a causa della disparità nella distribuzione del carico di lavoro per le cure familiari tra uomini e donne, che stacca di più di 20 punti percentili e, sempre più spesso, a una domanda molto più alta dell’offerta di posti disponibili presso i servizi di assistenza all’infanzia;
infine, la totale assenza di politiche attive che mirino a una parità di genere nell’occupazione di ruoli manageriali nelle imprese italiane, che ad oggi porta le donne a coprire un preoccupante 21% delle posizioni dirigenziali dell’industria del nostro Paese.
Voglio impegnarmi per un’Europa capace di promuovere azioni positive per la parità di genere nell’accesso e nel mantenimento del lavoro e buone pratiche per la riduzione del gender gap.

L’Europa che vogliamo va oltre la ferma condanna dei femminicidi e della violenza sulle donne, accettando che esiste un problema culturale che ci riguarda tutti, quello di una cultura che penalizza le donne ma anche gli uomini, ingabbiati in stereotipi di genere superati e dannosi; finanzia campagne informative per la prevenzione dello stalking, per la denuncia dei femminicidi e per il contrasto alla mercificazione del corpo delle donne a livello mediatico; offre maggiore finanziamento e supporto ai centri anti-violenza e ai consultori, ma anche ai luoghi della cultura delle donne.

L'Europa della sanità pubblica

La pandemia ci ha ricordato l’importanza della sanità pubblica.

Un esempio di buona politica fu quello della firmataria della legge che istituì il Servizio Sanitario Nazionale nel 1978 e prima donna a reggere un ministero (1976, Ministero del lavoro e della Previdenza Sociale per il terzo governo Andreotti), la deputata democristiana Tina Anselmi. A persone come lei dobbiamo quella sanità pubblica che dovrebbe renderci orgogliosi e farci sentire fortunati di essere italiani.

Eppure, da più di vent’anni, il nostro Paese disinveste sulla sanità pubblica. Prima della pandemia, nel settembre 2019, la fondazione GIMBE, che si batte per il rafforzamento del Sistema Sanitario Nazionale dal 2010, pubblicò un report sul definanziamento del Servizio Sanitario Nazionale, che porta in se molte risposte: “Nel decennio 2010-2019, tra tagli e definanziamenti al Sistema Sanitario Nazionale (SSN) sono stati sottratti circa €37 miliardi e il Fabbisogno Sanitario Nazionale (FSN) è aumentato di soli €8,8 miliardi”.

L’Italia ha avuto negli ultimi 3 anni una media di investimento sulla sanità del 6% del PIL, contro una media europea del 7.5%. Basta provare ad accedere a qualunque forma di sanità pubblica in Italia per rendersi conto dello scenario disastroso nel quale verte.

Voglio impegnarmi per un’Europa che sia in grado guardare con una nuova prospettiva nell’ottica della tutela della sanità pubblica, dividendo lo stanziamento dei fondi europei in modo proporzionale alla percentuale di investimento del singolo Stato sulla sanità.
Con questa tipologia di normative gli Stati Membri saranno incentivati a contrastare la sanità privata, garantendo un servizio sanitario pubblico efficiente e di facile e corretta accessibilità a tutta la popolazione.

Con il recente sblocco dei finanziamenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) 2,38 miliardi di euro sono i fondi stanziati al Ministero della Salute con le finalità specifiche di implementazione delle strutture, delle figure professionali e della ricerca in ambito sanitario.
Il PNRR è quindi un’opportunità unica e verosimilmente irripetibile per migliorare il funzionamento del nostro Sistema Sanitario Nazionale. I fondi del PNRR rischiano però, a causa di una limitata formula di controllo da parte dell’Unione Europea, di non essere usufruiti a pieno dagli Stati Membri.

Voglio quindi impegnarmi per tutelare e migliorare la sanità pubblica nel nostro Paese, implementando le misure di controllo europee sui singoli progetti legati allo stanziamento dei fondi del PNRR e, soprattutto, sviluppando politiche attive che possano, anche successivamente al PNRR, garantire l’accesso alla sanità pubblica che ogni cittadino merita. Perché la sanità è e deve essere un diritto di tutti.

L'Europa antifascista e antisovranista

Il fascismo non è un’idea. È la morte di tutte le idee.