Diurna. La transessualità come oggetto di discriminazione

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L’immaginario collettivo rappresenta i “trasgressori di genere” come essere alieni e clandestini, dediti alla prostituzione per naturale vocazione, e li discrimina nel mondo del lavoro e fuori di esso. Ma identità e culture transgender sono esistite in epoche e luoghi differenti del mondo e solo l’occidentalizzazione e la modernizzazione ne hanno delegittimato l’esistenza, demonizzandole e non raramente perseguitandole. Questo libro fotografa in modo attento e sentito la situazione della comunità trans* in Italia, con particolare attenzione al mondo del lavoro, sottolineandone soprattutto i problemi ancora irrisolti e le discriminazioni ancora diffuse, proponendo possibili soluzioni e rivelandosi “un importante testo di informazione rispetto ad una realtà misconosciuta e spesso mistificata non solo dai media, ma anche dalla stessa politica di sinistra.

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Monica Romano, Diurna

La presentazione di “Diurna” all’associazione Harvey Milk di Milano – Presentation of “Diurna” at the “Harvey Milk Association” in Milan

Introduzione

Ho trascorso buona parte dell’infanzia e dell’adolescenza a pormi domande. Quando sei bambino non hai bisogno di definirti, semplicemente “sei”. E non cogli l’imbarazzo delle persone che hai attorno. Poi arriva il giorno in cui qualcuno cerca di convicerti che qualcosa in te non va. Che non puoi muoverti in quel modo, parlare come parli, giocare a quei giochi. La mia identità di genere era visibile e percepita dagli altri. Gestualità, voce, sguardo, mi rivelavano. Crescendo, realizzi che ci sono i ragazzi, le ragazze, e tu. Quando vedi i tuoi compagni ridere e scherzare non con te, ma di te, vivendo quotidianamente il dileggio, gli insulti, le botte, inizi a porti domande. Nelle risposte può stare il senso di una vita.

Dare significato a un’infanzia e un’adolescenza percorse da un profondo senso di solitudine e paura del mondo che ti circonda, significa scegliere se considerarti uno sbaglio, un errore di natura e così vivere il resto della tua vita, o andare oltre trovando il coraggio di analizzare la cultura in cui vivi da un diverso punto di vista.

Nel mio caso, l’esito di questa ricerca è stato l’attivismo, dare un significato all’esperienza di vita scegliendo di impiegare le energie a favore di coloro che condividono il mio destino: le persone transessuali e transgender italiane. Dieci anni fa, a ventuno anni, ero da poco iscritta alla facoltà di Scienze Politiche a Milano e iniziavo a dedicare i ritagli di tempo libero ad attività di volontariato e supporto rivolti a quanti si riconoscono trans*¹. A ventitrè anni fondai la sede milanese dell’associazione nazionale Crisalide AzioneTrans Onlus, della quale sono stata la responsabile fino al dicembre 2007, con l’intento di dar vita ad uno stabile punto di riferimento per le persone trans* della Lombardia.

In quel contesto nacquero i primi gruppi di auto mutuo aiuto² a noi riservati, ambiti filtrati e protetti dove è possibile mettere in comune vissuti, esperienze, opinioni, elaborazioni, sentimenti. Il confronto fra noi spesso proseguiva anche al di fuori dell’associazione stessa, nel corso di cene, uscite, telefonate, dibattiti ed eventi culturali. Posso dire che, nei cinque anni di attività dell’associazione milanese, parallelamente alla vita culturale e politica di quest’ultima e spontaneamente da questa, è nata una vera e propria comunità trans*. Dalla nostra sede sono passate centinaia di persone, con i loro vissuti e testimonianze, e quel contesto protetto ha consentito a molt* di noi la libera espressione, spesso negata in un sistema sociale dichiaratamente ostile verso le differenze.

Difficile è infatti sopravvivere a/in un sistema che ti bolla come malato psichiatrico, senza possibilità di replica, che legittima un immaginario collettivo che rappresenta i “trasgressori di genere” come esseri alieni e clandestini, dediti a prostituzione e criminalità per naturale vocazione, “esagerati”, “perversi”, senza dignità; che, omertosamente, finge di ignorare l’esistenza di quelle leggi non scritte che penalizzano ogni ambito del nostro vivere, spesso non lasciando alternative alla prostituzione a molt* di noi.

Difficile non interiorizzare quel senso di disvalore che spesso ci accompagna fin dall’infanzia, poichè le aspettative legate al genere e l’oppressione che ne consegue iniziano spesso in famiglia e a scuola.

Difficile trovare uno spazio in una società che delegittima la tua semplice esistenza, negando la parte più ancestralmente autentica di te, quella che non hai scelto: il genere.

 Il termine transgender nasce da quell’asperienza che W.E.B. Du Bois ha chiamato “doppia coscienza”, che si forma quando l’individuo trova il proprio essere definito da due culture: quella dominante, più o meno interiorizzata, e quella subalterna del gruppo di appartenenza. I gruppi culturalmente oppressi sono spesso segregati e relegati in nicchie sociali: ciò permette loro di comunicare ed elaborare una propria cultura. In questo modo le persone trans* hanno iniziato a creare immagini culturali proprie, a formare un’identità positiva auto-organizzandosi e trovando espressioni culturalmente pubbliche, ad affrontare la cultura dominante rivendicando il riconoscimento della propria specificità, sovvertendo gli stereotipi ricevuti.

In quanto fondatrice della sede milanese, facilitatrice/moderatrice dei gruppi e, spesso mio malgrado, punto di riferimento per molt*, sono stata testimone privilegiata di quell’ “autocoscienza di gruppo” (espressione utilizzata per la prima volta dal movimento delle donne negli anni Sessanta) che ha portato molte persone trans* a scoprire che “il personale è politico”, che ciò che in origine abbiamo vissuto come un problema privato e personale, possiede in realtà dimensioni culturali. Aspetti della vita sociale che sembrano dati naturali, sono stati da noi tematizzati e rivelati nella loro natura di costrutti sociali che incidono negativamente sulla qualità della vita, generando uno schema di oppressione.

In questo modo molte persone trans* italiane, me compresa, sono arrivate a definire ed articolare le condizioni sociali della loro oppressione e a politicizzare la cultura, optando per forme di attivismo sfidanti quell’imperialismo culturale che, facendosi norma, stigmatizza tutti coloro i quali si discostano dal binarismo di genere (maschio = uomo, femmina = donna, nessuna alternativa).

L’esigenza di un’elaborazione culturale nell’accezione appena descritta costituisce un “imperativo categorico” per me, donna transessuale “diurna”, che ha dovuto lottare per avere un proprio spazio nella società, una vita alla luce del sole, una laurea, un lavoro regolare, un diritto di cittadinanza che per i più è cosa scontata. Tale esigenza può essere rappresentata, nel mio immaginario, come un faro della consapevolezza che rende liber* tutti* coloro che si discostano dalle rigide aspettative di genere del nostro sistema culturale e che migliora, in termini di libertà espressiva, la vita di tutti gli altri.

Ormai, già da diversi anni, avverto l’esigenza di portare la forza e il significato delle nostre storie fuori dalle rassicuranti mura delle associazioni, poichè tante, troppe, sono le persone trans* distanti e ferite, ogni giorno, dalla rappresentazione che l’immaginario collettivo fornisce della nostra condizione. A loro dedico questo libro.

 Note

 ¹ Trans* indica gli individui transessuali e transgender. L’asterisco è inserito per brevità.

 ² Un gruppo di auto mutuo aiuto è un gruppo composto da persone accomunate da una situazione di disagio. Tale disagio viene affrontato ed elaborato in prima persona attraverso il confronto, la condivisione e lo scambio di informazioni, emozioni, esperienze e problemi. Nel gruppo di auto mutuo aiuto si ascolta e si è ascoltati , senza pregiudizi, in un clima armonioso in cui si scoprono e si potenziano le proprie risorse interiori. Tale gruppo si autogestisce seguendo un sistema condiviso di obiettivi, regole, valori, e mira a incrementare il benessere psicologico di tutti i membri.