Sull’assertività

È abbastanza esasperante come l’assertività e il tutelare il proprio interesse vengano spesso letti – e restituiti – come “presunzione”.
Sei “presuntuosa” se esigi di lavorare essendo pagata per il tuo lavoro.
Sei “presuntuosa” se chiedi che il tuo impegno – quello a titolo volontaristico, si badi – venga valorizzato nella divulgazione e nella cura della qualità dei contenuti degli eventi a cui ti invitano.
Sei “presuntuosa” se chiedi reciprocità nella vita privata.E – più che mai – sei tacciata di presunzione se appartieni a una minoranza e ti permetti di tenere la testa alta, in ogni situazione.
Perchè il problema sempre lì sta, ed è inutile girarci intorno o fingere di non vedere.

L’essere presuntuosa (o “maleducata”, perchè – quando non ti fai trattar male – sei anche questo in una certa narrazione dominante) diviene, così, un imperativo per la tua sopravvivenza nel mondo.
“Le brave ragazze vanno in paradiso, le cattive dappertutto”.

E allora, come mi ha suggerito Silvia Molè, dobbiamo saper guarire da quell’umiltà e da quella gentilezza che vengono sempre richieste e imposte – guarda caso – a chi sta più in basso in una certa visione del mondo. Alle donne, ai migranti, alle checche, alle persone transgender e a chiunque si discosti dal modello dominante, quello di chi non deve chiedere e può anche permettersi di non essere buono e gentile. Senza catene e sensi di colpa.

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