Perchè ho deciso di scrivere “Storie di ragazze XY”

Articolo pubblicato dalla rivista di cultura LGBT “Il Simposio”

Nel 2008 pubblicai il mio primo libro dal titolo Diurna. La transessualità come oggetto di discriminazione, con la casa editrice Costa & Nolan.

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Diurna era un saggio che analizzava i temi sui quali  il movimento per i diritti delle persone transgender, in Italia e nel mondo, ormai da decenni cercava (e cerca) di richiamare l’attenzione. Nel  considerare le cause della marginalizzazione delle persone trans* nella società occidentale, mi ero soffermata sui temi che seguono:

* il fenomeno della discriminazione delle persone transgender nel mondo del lavoro, sia per ciò che concerne la ricerca di un lavoro (la discriminazione all’ingresso del mercato del lavoro), sia  per il mantenimento del posto di lavoro (il femoneno del mobbing);

* il femoneno della discriminazione presso le agenzie di socializzazione, come la scuola e l’università;

* il distorcimento e l’alterazione della realtà transgender nell’immaginario colletivo ad opera principalmente dei mass media, che per anni hanno promosso un’idea delle persone trans* ad uso e consumo della morbosità di lettori e telespettatori e tralasciato invece, fatte salve rare eccezioni, un’informazione corretta sulle tematiche legate all’identità di genere;

* il binomio “transgender = prostituta” presente nell’immaginario collettivo, le sue origini e le ricadute sulla vita quotidiana delle persone transgender;

* il tema della transfobia e l’elevatissimo tasso di omicidi di persone transgender, soprattutto donne, silenzioso massacro che ogni anno raggiunge numeri impressionanti;

* l’importanza dell’esistenza di associazioni e gruppi transgender dove le persone possano confrontarsi e interagire;

* l’istanza di despichiatrizzazione della condizione trans*;

* l’elaborazione di una cultura transgender, di nuove visioni e linguaggi, in un’ottica di decostruzione del sistema culturale e di significati binario nel quale siamo immersi;

* la transfobia interiorizzata e la ricerca dell’invisibilità sociale da parte di molte persone transgender;

* l’analisi dell’apporto che ci viene offerto dalla storia e dall’antropologia, di quelle culture anche millenarie che prevedevano generi alternativi al binomio uomo/donna, dell’esistenza quindi di persone e culture transgender ante litteram;

* l’elaborazione di un manifesto politico, il Manifesto per la libertà di genere, che concludeva il libro auspicando una rivoluzione delle coscienze e, conseguentemente, del sistema sociale e culturale.

La pubblicazione di Diurna è stata un’importante esperienza che presentò un limite, dovuto principalmente al linguaggio. Il libro era infatti un saggio, la rielaborazione della mia tesi di laurea dedicata a tema della discriminazione, e aveva una terminologia accademica.

Presentando Diurna presso associazioni, librerie ed università avevo spesso l’impressione che i concetti arrivassero agli uditori, ma che restassero in qualche modo soltanto informazioni, dati, concetti simili a tanti altri per chi li ascoltava.

Ero gratificata da quel lavoro di informazione, ma non mi sentivo pienamente soddisfatta. Da attivista mi sono sempre posta un obiettivo ben più ambizioso, che è la sensibilizzazione delle persone prima dell’informazione, che deriva dalla capacità di fare breccia nelle coscienze.

In una notte d’estate un po’ sottotono del 2008 fu un amico ad aprirmi gli occhi, un uomo transgender che nella mia vita ha una funzione importantissima: da anni mi porta a serate danzanti e molto frivole quando nell’aria si sente un po’ di malinconia. Fu lui a dirmi che il mio libro era certo utile e ben scritto ma inaccessibile alla maggior parte delle persone, perché troppo difficile. Con un sorriso complice, mi invitò a raccontare le nostre storie, i tanti aspetti drammatici come quelli divertenti e tragicomici, sforzandomi di utilizzare un linguaggio accessibile che favorisse  l’empatia, quel processo di identificazione fondamentale ed irrinunciabile per chi alle coscienze altrui vuole arrivare, incoraggiando un viaggio fra le prospettive.

In questo Leslie Feinberg, attivista transgender americano venuto a mancare nel 2014, era riuscito magistralmente. Lessi il suo libro Stone Butch Blues nel 2004. Lo avevo divorato in una notte e, dal giorno successivo, niente per me fu più come prima.

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Avrei avuto l’onore di conoscere Leslie Feinberg solo qualche mese dopo in occasione della presentazione del suo libro in Italia, nel giugno 2004, ma mi era bastato leggere quel libro per amarlo ancora prima di conoscerlo.

Stone Butch Blues è un memoir dove Leslie, attraverso il personaggio di Jess,  una fierissim* butch, racconta la comunità LGBT nell’America degli anni ’60 e ’70 prima e successivamente ai moti di Stonewall.

Senza illudermi di poter  in qualche modo eguagliare il mio ispiratore quanto a potenza esperienziale e narrativa, decisi di darmi anch’io alla scrittura di un romanzo di ispirazione autobiografica, cercando di fare la mia piccola parte in quella che mi piace immaginare come la stesura di una lunga storia corale e scritta a più mani, quella del nostro movimento e delle nostre battaglie di liberazione.

Storie di ragazze XY è quindi nato così, con l’intenzione di concentrare tutti  i temi già affrontati in Diurna in un racconto semplice e che potesse essere accessibile a chiunque.

A ormai più di tre mesi dall’uscita di questo secondo libro sto ricevendo molte domande da chi ha deciso di leggermi, e questo è certo un buon segno. L’aspetto per il momento più curioso è che, ad oggi, la domanda in assoluto più frequente riguarda la veridicità di ciò che ho scritto:

“E’ tutto accaduto davvero?”

Per rispondere scelgo sempre di utilizzare la risposta che Leslie diede a quella stessa domanda relativamente a Stone Butch Blues:

“Oh, certo che è vero. E’ così vero che sanguina. E allo stesso tempo è una ricosctruzione: mai sottovalutare il potere della fitcion di dire la verità. […] Un viaggio che non è identico al percorso della mia vita, ma che irradia la familiarità profonda dell’esperienza vissuta.”

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Articolo di Antonio Steffenoni per “Il Venerdì” di Repubblica

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«I ragazzi della mia età spesso venivano a chiedermi a quale metà del cielo appartenessi. C’erano i maschi, c’erano le femmine, e c’ero io. Poteva essere questa la risposta? Non nel mondo in cui vivevo.»  «Sei maschio o femmina?» È il 1986 quando Ilenia si sente fare per la prima volta questa domanda. Al momento non sa cosa rispondere, non vuole essere diversa, è e basta. La ricerca di una vera risposta la accompagnerà lungo tutto il cammino attraverso l’adolescenza e verso l’età adulta. Il suo è il viaggio travagliato di una ragazza che sembra avere per la società e per i benpensanti un’unica meta, la prostituzione. Ma Ilenia è una persona che non si arrende e scompiglia fin da subito le carte del destino: nonostante bullismo, discriminazione, violenze fisiche e verbali, si laurea, trova un lavoro e un amore inaspettato, quello per una donna.  Le paure, le battaglie, le ferite, i traguardi di una giovane trans, che come tante altre ragazze XY, lotta per una vita serena e autentica, verso la libertà di genere e il pieno diritto di cittadinanza per le persone transgender nella società civile.

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