Il business dei professionisti (chirurghi, avvocati, psichiatri) sulla vita delle persone transgender – Estratto dal libro “Gender (R)Evolution”

“La lunga narrazione delle Crisalidi aveva generato prese di coscienza, e con queste era giunta, a lungo attesa, la voglia di lotta. Parlavamo a lungo di quei professionisti che sulle persone trans avevano creato un #business in molte parti d’Italia, cercando di mettere in guardia la nostra comunità. C’erano psichiatri e psicologi che lucravano sull’impossibilità per la persona trans di accedere alla terapia ormonale senza il loro benestare. Così venivamo a sapere di psicoterapie che duravano mesi, o anche anni, a discrezione del «professionista», che intanto incassava le sue parcelle. Ci chiedevamo come un patto terapeutico potesse essere valido se una delle due parti era praticamente costretta a intraprendere un percorso psicologico. Conoscevamo le linee guida internazionali, gli «standard di cura sulla riattribuzione di genere», e sapevamo bene che avevano chiarito che il supporto psicologico dovesse essere il più possibile breve, nell’ordine di qualche seduta volta ad accertare l’assenza di disturbi seri e, soprattutto, richiesto e voluto dalla persona. C’erano avvocati che facevano pagare svariate migliaia di euro per la presentazione di istanze molto semplici, quali erano quelle per l’autorizzazione agli interventi chirurgici e la richiesta di riattribuzione anagrafica. I peggiori di tutti erano alcuni chirurghi estetici. Seni, zigomi, labbra, spesso modificati in modo disarmonico e assolutamente irrealistico, lavori fatti male e pagati tanto a chi, sui nostri sogni, si costruiva villette in Toscana.

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C’erano chirurghi, anche pagati con soldi pubblici, che non informavano le persone in modo adeguato sui rischi degli interventi di riattribuzione di sesso. Non era solo una questione di soldi: noi servivamo anche per ricerca e pubblicazioni scientifiche. Così c’era chi, facendo leva sulla nostra disperazione e sul nostro dolore, sull’urgenza di arrivare finalmente a modificare un corpo che per tutta la vita era stato una gabbia, faceva sperimentazione e carriera. Vedevamo così arrivare in associazione persone rese invalide a vita, costrette a girare portandosi dietro un sacchetto per raccogliere le feci a causa di buchi nell’intestino, altre che ci raccontavano di vagine andate quasi completamente in necrosi e per sempre insensibili o di decine di interventi per realizzare dei peni che, a prima vista, parevano più – qualcuno disse – dei calamari.

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Tutelarci, proteggere noi stessi ma anche le nostre sorelle e fratelli più deboli, era tutt’altro che semplice, ma andava fatto, o almeno tentato. Utilizzavamo i mezzi a nostra disposizione – passaparola, email, forum, SMS – per far girare le informazioni che avevamo il più possibile. Se venivamo a conoscenza di un abuso qualsiasi, la nostra rete si attivava. Così cercammo di cambiare in nostro favore gli equilibri di quello che qualcuno aveva trasformato in un fiorente mercato.

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In quei ritagli di tempo che sempre più prepotentemente ci dovevamo prendere, ci mettevamo in cerca di professionisti che avessero davvero a cuore i nostri destini, trovandone diversi. Molto spesso noi contribuivamo a formarli sui temi legati al percorso di transizione, in anni in cui se ne sapeva ancora pochissimo, mettendo a loro disposizione le nostre esperienze e conoscenze. Molti – medici, avvocati, psicologi, chirurghi – si resero disponibili a lavorare pro bono o a prezzi politici in cambio di una convenzione con l’associazione, perché «i professionisti onesti esistono, bastava cercare», ci ripetevamo soddisfatti, e molti altri sarebbero arrivati, diventando amici, alleati e parte della nostra comunità.”

Estratto dal libro Gender R- Evolution di @Monica Romano per Ugo Mursia Editore, 2017.

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